Lotti Bonino

Lot 297

Antiveduto Gramatica (1571 – 1626)

Allegoria della Giustizia e della Pace

La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €200000 - €300000
€125000.00
Olio su tela
112,4 x 149,2 cm

Provenienza:
Collezioni Sabaude (inventario del 1635) o collezione Paolo o Gian Luigi Mercati (inventari del 6 ottobre 1622 e 17 maggio 1628)

Bibliografia :
A. Baudi di Vesme, "La Regia Pinacoteca di Torino", in "Le Gallerie nazionali italiane", a. III, 1897, p. 47, n. 317 (possibile); F. Cappelletti, L. Testa, "Il trattenimento dei virtuosi; le collezioni sicentesche di quadri nei palazzi Mattei di Roma", Roma, 1994, p. 80, n. 40 (possibile); G. Papi, "Antiveduto Grammatica", Soncino, 1995, p. 120 cat. 69, p. 178 fig. 42; H. Ph. Riedl, "Antiveduto della Grammatica (1570/71-1626). Leben und Werk", Stoccarda, 1996, p. 186, nn. 65 o 66; L. Sickel, "Zwei römische Privatsammler des frühen seicento: Ippolito Gricciotto, Paolo Mercati und die Nachfolger Caravaggios" in "Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft", 33, 2006, pp. 197-223 (possibile); A. Cottino, "Antiveduto Gramatica, Allegoria della Giustizia e della Pace", in P. Carofano, a cura di, "Nella luce di Caravaggio. Dipingere di maniera e con l’esempi avanti dal naturale”, catalogo della mostra , Montale, 2011, pp. 36-39, scheda 4; A. Cottino, "Antiveduto Gramatica, Allegoria della Giustizia e della Pace", in P. Carofano, a cura di, "I bari a confronto. Il giovane Caravaggio nella casa del cardinale Francesco Maria del Monte", catalogo della mostra, Pontedera, 2012, pp. 36-39; P. Carofano, scheda in A. Geretti, a cura di, "Padri e figli", catalogo della mostra, Udine, 2018, pp. 194-195; P. Carofano, scheda in, P. Carofano, a cura di, "Caravaggio e il suo tempo tra naturalismo e classicismo", catalogo della mostra, Mesagne, 2023, pp. 52-53


Esposizioni:
"Nella luce di Caravaggio. Dipingere di maniera e con l’esempi avanti dal naturale”, Montale, Villa Castello La Smilea, a cura di P. Carofano, 2011; "I bari a confronto. Il giovane Caravaggio nella casa del cardinale Francesco Maria del Monte", Monte Santa Maria Tiberina, Palazzo Museo Bourbon del Monte, a cura di P. Carofano, 2012; P. Carofano, "Padri e figli", Illegio, Casa delle Esposizioni, a cura di A. Geretti, Udine, 2018; "Caravaggio e il suo tempo. Tra naturalismo e classicismo", Mesagne, Castello, a cura di P. Carofano, 2023

Certificati:
expertise di Gianni Papi, 2008 (in copia); expertise di Isabella Pascucci, 2018 (in copia)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (reintelo e telaio sostituto)
Condizione superficie: 80% (cadute e ridipinture; una mancanza risarcita lunga quasi quanto il dipinto nel registro inferiore)

Numero componenti lotto: 1
L’opera è da riferirsi al pittore Antiveduto Gramatica, di famiglia senese, attivo a Roma a cavallo tra XVI e XVII secolo, tra i protagonisti del mondo artistico della Città Eterna, celebre tra suoi contemporanei per la sua accurata capacità nel dipingere le teste. Amico di Caravaggio, legato come questi al cardinal Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria (1549-1626), divenne Principe dell’Accademia di San Luca nel 1624, fu a capo di una laboriosa bottega capace di produrre grandi tele e anche opere che turisti illustri potessero portare con sé a casa ritornando da un viaggio a Roma.
Nel 1995, Gianni Papi inserisce l’opera nella monografia su Antiveduto Gramatica, condividendo, su base fotografica, l’attribuzione suggerita in primis da Mina Gregori (Papi 1995, p. 120), leggendovi anche il rapporto con Rutilio Manetti «in certe affinità luministiche e nel gusto per una pittura robusta, di spessore» che lo porta a proporre una datazione all'«ultimo lustro della attività di Antiveduto», cioè tra il 1621 e il 1626; e ne conferma ulteriormente la piena autografia, dopo aver visionato la tela direttamente, in una scheda inedita del 2008. La verifica dal vero gli consente di sottolineare i tratti distintivi di Antiveduto soprattutto nella «eleganza compositiva», nella «qualità del bell'inserto dell'amorino di destra, che ha un evidente somiglianza tipologica (e di livello esecutivo) con l'angelo del 'San Girolamo' pubblicato per primo da Roberto Longhi (cat. 28 della mia monografia) e con quello di destra che compare nel 'San Carlo Borromeo con due angeli e i simboli della Passione' (cat. 44 della mia monografia), e la notevole resa delle mani della Giustizia, nonché il bellissimo brano di natura morta (e Antiveduto era probabilmente un grande autore di brani di questo tipo, si veda G. Papi, 2006, pp. 59-71), costituito dalla bilancia», «lasciando semmai un limitato margine di collaborazione al figlio [Imperiale, ...] nella figura dell'amorino col caduceo a sinistra».
Lo studioso ipotizza che l’opera sia quella citata nell’inventario del 1635 delle collezioni sabaude redatto all’epoca di Vittorio Amedeo I di Savoia (pubblicato in Baudi di Vesme 1897, p. 47, n. 317): «La Giustizia e la Pace, che si bacciano, con un corno. Dell’Antiveduto. Mediocre» (supponendo che "corno" sia un lapsus per "corvo"), oppure quella relativa al quadro che nel 1628 si trovava nella quadreria di un gentiluomo romano, Paolo Mercati (erroneamente confuso con il padre Gian Luigi da tutti gli studiosi, tranne, come si vedrà, Pascucci), collezionista “residente nel rione di S. Eustachio”, insieme ad altre opere caravaggesche di Riminaldi, Manfredi, Honthorst e dello stesso Gramatica. Questa seconda ipotesi deriva dall’identificazione proposta da Helmut Philipp Riedl (Riedl 1998, p. 86 no. 65) in base all’inventario pubblicato da Francesca Cappelletti e Laura Testa nel 1994 (p. 80 n.40): «Una iustitia et Pax osculatae sunt quadro un poco più grande che da imperatore opera della bo.me di Antiveduto della Gram.ca [...]».
Alberto Cottino conferma la piena assegnazione del dipinto a Gramatica, «del quale anzi dev'esser considerato un capolavoro: si veda la morbida trattazione del manto ricamato della Giustizia, o la carezzevole stesura delle ombre (e la raffinatezza dei giochi di controluce, come nell'amorino di destra), o ancora la fresca luminosità della pelle delle fanciulle», concordando anche su una datazione tarda, per il «singolare sapore postclassicista, che evidentemente sottolinea un allontanamento, almeno temporaneo, dalla sua personale versione del naturalismo caravaggesco» (Cottino 2011, pp. 36 e 38). A proposito della provenienza, egli preferisce la seconda ipotesi, non condividendo il presunto errore (“corno” per “corvo”) notato da Papi: l’identificazione con l’inventario Mercati consente, infatti, sia una maggiore adesione circa il soggetto sia un riscontro diretto per le misure, «quadro un poco più grande che da Imperatore» (Cottino 2011, p. 38), cioè superiore a 90x130 cm, come è effettivamente la tela in esame (112,4x149,2 cm).
Pierluigi Carofano, invece, anticipa la datazione intorno al 1615, riconoscendovi «una delle prove di maggiore forza della fase post caravaggesca di Gramatica, di un delicato classicismo che guarda verso i maestri emiliani, Domenichino e Lanfranco in particolare», e prediligendo, come Cottino, la identificazione, pur allo stato aleatoria, con la menzione dell'inventario Mercati (Carofano 2023, p. 52).
Infine anche Isabella Pascucci, in uno studio inedito del 2008, conferma la piena autografia di Gramatica, identificando peraltro una ulteriore menzione del dipinto nell'inventario di casa Mercati del 6 ottobre 1622, pubblicato da Lothat Sickel nel 2006, «11 Una Justitia et Pax di Antiveduto», chiaramente con effetti sulla datazione, che andrà anticipata rispetto alla proposta di Papi (1621-1626), forse persino al primo decennio del secolo valorizzando il progetto iconografico - una celebrazione della pace e della giustizia - in relazione alla conclusione, nel 1601, della guerra Franco-Piemontese. Pascucci, peraltro, legge entrambi gli inventari Mercati, come riferiti a Paolo Mercati, e non a Gian Luigi, secondo la ipotesi di Francesca Cappelletti e Laura Testa, «una svista non da poco, dal momento che Gian Luigi, morto proprio nel 1628 (da qui, probabilmente, il fraintendimento delle studiose) possedeva solamente due dipinti, laddove il collezionista, l'umanista e il cultore dell'arte era suo figlio Paolo» (Pascucci 2018, p. 8). Paolo Mercati, secondo la ricostruzione di Sickel, lasciò la famiglia - tradizionalmente dedita al diritto - per prendere i voti, ma non perse l'interesse per le lettere classiche, ed in particolare gli vengono ascritti alcuni «sensuali inni d'amore», come «Labro rosso e Notte è giorno d'amante», cosicché si apre l'ipotesi che egli sia stato non solo il proprietario, ma anche il committente dell'opera, in celebrazione del suo protettore, il potente cardinal Pietro Aldobrandini (+1621), cui Clemente VIII affidò le trattative, felicemente riuscite nel 1601 nel Trattato di Lione, circa la conclusione della guerra tra il Regno di Francia e il Ducato di Savoia per il controllo del Marchesato di Saluzzo. Mercati dedicò al tema anche due carmi: "In Reditu Illustrissimi et Reverendissimi Cardinalis Aldobrandini Clementis VIII Pont Max Nepotis Ex Legation Galliarum", e "De Pace Inita inter Hernicum IV Gall Regem Et Carolum Emanuelem Sabaudiae Ducem" (Pascucci 2018, pp. 8-9). Potrebbe essere quindi questo il motore iconografico del dipinto: un fatto storico, celebrato con un richiamo biblico sulla pace e lo reinterpreta in modo marcatamente erotico. Peraltro, questa spiegazione offrirebbe anche una soluzione di continuità tra le due opere note agli inventari, quella Mercati, più grande e eccellente per qualità realizzata per l'uomo che ha realizzato, con la pace, un grande servizio alla corte di Torino (era stato proprio il Duca di Savoia Carlo Emanuele I ad affidare l'arbitrato a papa Clemente VIII) e la seconda, forse una replica in dimensioni minori e minore anche per qualità (come attestano gli stessi inventari), destinata proprio alla quadreria sabauda.
Il dipinto raffigura, infatti, le personificazioni della Giustizia e della Pace colte in atteggiamento erotico, seguendo alla lettera le parole citate nel salmo 84 che descrivono l’atto del bacio («Iustitia et Pax osculatae sunt»). In esteso: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore. / La sua salvezza è vicina a chi lo teme / e la sua gloria abiterà la nostra terra. / Misericordia e verità s’incontreranno, / giustizia e pace si baceranno. / La verità germoglierà dalla terra / e la giustizia si affaccerà dal cielo». Il passo biblico preconizza un futuro di giustizia e pace per il popolo di Israele liberato dalla schiavitù e in cammino verso la terra promessa: ma gli stessi versi non divengono un augurio per il Ducato di Savoia, prima in confronto militare con una grande potenza, la Francia, e ora salvaguardato da una pace ottenuta con equilibrio e giustizia dall'Aldobrandini?
L’identificazione delle virtù bibliche è affidata agli attributi che accompagnano le due figure, seguendo le canoniche indicazioni tratteggiate nell’apparato illustrativo della "Iconologia" di Cesare Ripa (1593): la Giustizia, con la benda, la corona e la bilancia, e la Pace, con la corona di olivo e le spighe di grano.
Inoltre, la presenza del caduceo in mano ad un putto, nella sua accezione generale di rimando a Mercurio, può essere collegata al commercio che si sviluppa e prospera in un clima caratterizzato dalla pace e dalla giustizia (soprattutto con gli stati confinanti), ovvero considerata - come suggerisce Cottino (2011, p. 36, e 2012, cat. 15) - un rimando colto al repertorio di Vincenzo Cartari ("Le Imagini con la Spositione de i Dei de gli Antichi", Venezia, 1556): il caduceo «al suo apparire faceva cadere tutte le discordie, & fu perciò la insegna della pace. Onde la portavano gli ambasciadori, che andavano per quella, li quali furono ancho poi chiamati Caduceatori», nel che si potrebbe leggere un riferimento al ruolo del delegato pontificio Aldobrandini. Mentre il fascio di verghe in allusione alla giustizia, richiama nuovamente il Ripa, poiché «era portato anticamente in Roma da littori innanzi à Consoli, & al Tribuno della Plebe, per mostrar che non si deve rimanere di castigare, ove richieda la Giustizia, né si deve esser precipitoso: ma dar tempo a maturare il giuditio nello sciorre delle verghe» (Ripa, 1593, ed. cons. 1618, p. 162).
Analogo ragionamento può svolgersi per l’eclissi che appare sull’angolo superiore sinistro: stando alle parole di Erodoto, è da considerarsi emblema di pace in quanto, nel VI secolo, fu proprio la repentina trasformazione del giorno in notte che mise fine al lungo perpetrarsi degli scontri tra Lidi e Medi, portando così i rivali alla tregua. Anche in questo caso, è possibile una interpretazione ulteriore, con riguardo alla cultura poetica del Mercati: l'eclisse di sole «potrebbe essere allusiv[a] al concetto di congiunzione (sole-luna = Pace e Giustizia)», accentuato dal «raffinato gioco di sfioramenti, sguardi e sorrisi tra le due giovani in primo piano, pallide protagoniste di un'effusione da
slow motion ambiguamente scivolante tra castità ed erotismo» (Cottino 2011, p. 36, e 2012, cat. 15).
Una più puntuale e approfondita analisi iconografica del complesso tema umanistico si legge nello studio di Pascucci (2018), cui va dato il merito di aver offerto, con l'identificazione della figura di Paolo Mercati, una chiave di volta per la contestualizzazione e la interpretazione dell'opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.
Olio su tela
112,4 x 149,2 cm

Provenienza:
Collezioni Sabaude (inventario del 1635) o collezione Paolo o Gian Luigi Mercati (inventari del 6 ottobre 1622 e 17 maggio 1628)

Bibliografia :
A. Baudi di Vesme, "La Regia Pinacoteca di Torino", in "Le Gallerie nazionali italiane", a. III, 1897, p. 47, n. 317 (possibile); F. Cappelletti, L. Testa, "Il trattenimento dei virtuosi; le collezioni sicentesche di quadri nei palazzi Mattei di Roma", Roma, 1994, p. 80, n. 40 (possibile); G. Papi, "Antiveduto Grammatica", Soncino, 1995, p. 120 cat. 69, p. 178 fig. 42; H. Ph. Riedl, "Antiveduto della Grammatica (1570/71-1626). Leben und Werk", Stoccarda, 1996, p. 186, nn. 65 o 66; L. Sickel, "Zwei römische Privatsammler des frühen seicento: Ippolito Gricciotto, Paolo Mercati und die Nachfolger Caravaggios" in "Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft", 33, 2006, pp. 197-223 (possibile); A. Cottino, "Antiveduto Gramatica, Allegoria della Giustizia e della Pace", in P. Carofano, a cura di, "Nella luce di Caravaggio. Dipingere di maniera e con l’esempi avanti dal naturale”, catalogo della mostra , Montale, 2011, pp. 36-39, scheda 4; A. Cottino, "Antiveduto Gramatica, Allegoria della Giustizia e della Pace", in P. Carofano, a cura di, "I bari a confronto. Il giovane Caravaggio nella casa del cardinale Francesco Maria del Monte", catalogo della mostra, Pontedera, 2012, pp. 36-39; P. Carofano, scheda in A. Geretti, a cura di, "Padri e figli", catalogo della mostra, Udine, 2018, pp. 194-195; P. Carofano, scheda in, P. Carofano, a cura di, "Caravaggio e il suo tempo tra naturalismo e classicismo", catalogo della mostra, Mesagne, 2023, pp. 52-53


Esposizioni:
"Nella luce di Caravaggio. Dipingere di maniera e con l’esempi avanti dal naturale”, Montale, Villa Castello La Smilea, a cura di P. Carofano, 2011; "I bari a confronto. Il giovane Caravaggio nella casa del cardinale Francesco Maria del Monte", Monte Santa Maria Tiberina, Palazzo Museo Bourbon del Monte, a cura di P. Carofano, 2012; P. Carofano, "Padri e figli", Illegio, Casa delle Esposizioni, a cura di A. Geretti, Udine, 2018; "Caravaggio e il suo tempo. Tra naturalismo e classicismo", Mesagne, Castello, a cura di P. Carofano, 2023

Certificati:
expertise di Gianni Papi, 2008 (in copia); expertise di Isabella Pascucci, 2018 (in copia)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (reintelo e telaio sostituto)
Condizione superficie: 80% (cadute e ridipinture; una mancanza risarcita lunga quasi quanto il dipinto nel registro inferiore)

Numero componenti lotto: 1
L’opera è da riferirsi al pittore Antiveduto Gramatica, di famiglia senese, attivo a Roma a cavallo tra XVI e XVII secolo, tra i protagonisti del mondo artistico della Città Eterna, celebre tra suoi contemporanei per la sua accurata capacità nel dipingere le teste. Amico di Caravaggio, legato come questi al cardinal Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria (1549-1626), divenne Principe dell’Accademia di San Luca nel 1624, fu a capo di una laboriosa bottega capace di produrre grandi tele e anche opere che turisti illustri potessero portare con sé a casa ritornando da un viaggio a Roma.
Nel 1995, Gianni Papi inserisce l’opera nella monografia su Antiveduto Gramatica, condividendo, su base fotografica, l’attribuzione suggerita in primis da Mina Gregori (Papi 1995, p. 120), leggendovi anche il rapporto con Rutilio Manetti «in certe affinità luministiche e nel gusto per una pittura robusta, di spessore» che lo porta a proporre una datazione all'«ultimo lustro della attività di Antiveduto», cioè tra il 1621 e il 1626; e ne conferma ulteriormente la piena autografia, dopo aver visionato la tela direttamente, in una scheda inedita del 2008. La verifica dal vero gli consente di sottolineare i tratti distintivi di Antiveduto soprattutto nella «eleganza compositiva», nella «qualità del bell'inserto dell'amorino di destra, che ha un evidente somiglianza tipologica (e di livello esecutivo) con l'angelo del 'San Girolamo' pubblicato per primo da Roberto Longhi (cat. 28 della mia monografia) e con quello di destra che compare nel 'San Carlo Borromeo con due angeli e i simboli della Passione' (cat. 44 della mia monografia), e la notevole resa delle mani della Giustizia, nonché il bellissimo brano di natura morta (e Antiveduto era probabilmente un grande autore di brani di questo tipo, si veda G. Papi, 2006, pp. 59-71), costituito dalla bilancia», «lasciando semmai un limitato margine di collaborazione al figlio [Imperiale, ...] nella figura dell'amorino col caduceo a sinistra».
Lo studioso ipotizza che l’opera sia quella citata nell’inventario del 1635 delle collezioni sabaude redatto all’epoca di Vittorio Amedeo I di Savoia (pubblicato in Baudi di Vesme 1897, p. 47, n. 317): «La Giustizia e la Pace, che si bacciano, con un corno. Dell’Antiveduto. Mediocre» (supponendo che "corno" sia un lapsus per "corvo"), oppure quella relativa al quadro che nel 1628 si trovava nella quadreria di un gentiluomo romano, Paolo Mercati (erroneamente confuso con il padre Gian Luigi da tutti gli studiosi, tranne, come si vedrà, Pascucci), collezionista “residente nel rione di S. Eustachio”, insieme ad altre opere caravaggesche di Riminaldi, Manfredi, Honthorst e dello stesso Gramatica. Questa seconda ipotesi deriva dall’identificazione proposta da Helmut Philipp Riedl (Riedl 1998, p. 86 no. 65) in base all’inventario pubblicato da Francesca Cappelletti e Laura Testa nel 1994 (p. 80 n.40): «Una iustitia et Pax osculatae sunt quadro un poco più grande che da imperatore opera della bo.me di Antiveduto della Gram.ca [...]».
Alberto Cottino conferma la piena assegnazione del dipinto a Gramatica, «del quale anzi dev'esser considerato un capolavoro: si veda la morbida trattazione del manto ricamato della Giustizia, o la carezzevole stesura delle ombre (e la raffinatezza dei giochi di controluce, come nell'amorino di destra), o ancora la fresca luminosità della pelle delle fanciulle», concordando anche su una datazione tarda, per il «singolare sapore postclassicista, che evidentemente sottolinea un allontanamento, almeno temporaneo, dalla sua personale versione del naturalismo caravaggesco» (Cottino 2011, pp. 36 e 38). A proposito della provenienza, egli preferisce la seconda ipotesi, non condividendo il presunto errore (“corno” per “corvo”) notato da Papi: l’identificazione con l’inventario Mercati consente, infatti, sia una maggiore adesione circa il soggetto sia un riscontro diretto per le misure, «quadro un poco più grande che da Imperatore» (Cottino 2011, p. 38), cioè superiore a 90x130 cm, come è effettivamente la tela in esame (112,4x149,2 cm).
Pierluigi Carofano, invece, anticipa la datazione intorno al 1615, riconoscendovi «una delle prove di maggiore forza della fase post caravaggesca di Gramatica, di un delicato classicismo che guarda verso i maestri emiliani, Domenichino e Lanfranco in particolare», e prediligendo, come Cottino, la identificazione, pur allo stato aleatoria, con la menzione dell'inventario Mercati (Carofano 2023, p. 52).
Infine anche Isabella Pascucci, in uno studio inedito del 2008, conferma la piena autografia di Gramatica, identificando peraltro una ulteriore menzione del dipinto nell'inventario di casa Mercati del 6 ottobre 1622, pubblicato da Lothat Sickel nel 2006, «11 Una Justitia et Pax di Antiveduto», chiaramente con effetti sulla datazione, che andrà anticipata rispetto alla proposta di Papi (1621-1626), forse persino al primo decennio del secolo valorizzando il progetto iconografico - una celebrazione della pace e della giustizia - in relazione alla conclusione, nel 1601, della guerra Franco-Piemontese. Pascucci, peraltro, legge entrambi gli inventari Mercati, come riferiti a Paolo Mercati, e non a Gian Luigi, secondo la ipotesi di Francesca Cappelletti e Laura Testa, «una svista non da poco, dal momento che Gian Luigi, morto proprio nel 1628 (da qui, probabilmente, il fraintendimento delle studiose) possedeva solamente due dipinti, laddove il collezionista, l'umanista e il cultore dell'arte era suo figlio Paolo» (Pascucci 2018, p. 8). Paolo Mercati, secondo la ricostruzione di Sickel, lasciò la famiglia - tradizionalmente dedita al diritto - per prendere i voti, ma non perse l'interesse per le lettere classiche, ed in particolare gli vengono ascritti alcuni «sensuali inni d'amore», come «Labro rosso e Notte è giorno d'amante», cosicché si apre l'ipotesi che egli sia stato non solo il proprietario, ma anche il committente dell'opera, in celebrazione del suo protettore, il potente cardinal Pietro Aldobrandini (+1621), cui Clemente VIII affidò le trattative, felicemente riuscite nel 1601 nel Trattato di Lione, circa la conclusione della guerra tra il Regno di Francia e il Ducato di Savoia per il controllo del Marchesato di Saluzzo. Mercati dedicò al tema anche due carmi: "In Reditu Illustrissimi et Reverendissimi Cardinalis Aldobrandini Clementis VIII Pont Max Nepotis Ex Legation Galliarum", e "De Pace Inita inter Hernicum IV Gall Regem Et Carolum Emanuelem Sabaudiae Ducem" (Pascucci 2018, pp. 8-9). Potrebbe essere quindi questo il motore iconografico del dipinto: un fatto storico, celebrato con un richiamo biblico sulla pace e lo reinterpreta in modo marcatamente erotico. Peraltro, questa spiegazione offrirebbe anche una soluzione di continuità tra le due opere note agli inventari, quella Mercati, più grande e eccellente per qualità realizzata per l'uomo che ha realizzato, con la pace, un grande servizio alla corte di Torino (era stato proprio il Duca di Savoia Carlo Emanuele I ad affidare l'arbitrato a papa Clemente VIII) e la seconda, forse una replica in dimensioni minori e minore anche per qualità (come attestano gli stessi inventari), destinata proprio alla quadreria sabauda.
Il dipinto raffigura, infatti, le personificazioni della Giustizia e della Pace colte in atteggiamento erotico, seguendo alla lettera le parole citate nel salmo 84 che descrivono l’atto del bacio («Iustitia et Pax osculatae sunt»). In esteso: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore. / La sua salvezza è vicina a chi lo teme / e la sua gloria abiterà la nostra terra. / Misericordia e verità s’incontreranno, / giustizia e pace si baceranno. / La verità germoglierà dalla terra / e la giustizia si affaccerà dal cielo». Il passo biblico preconizza un futuro di giustizia e pace per il popolo di Israele liberato dalla schiavitù e in cammino verso la terra promessa: ma gli stessi versi non divengono un augurio per il Ducato di Savoia, prima in confronto militare con una grande potenza, la Francia, e ora salvaguardato da una pace ottenuta con equilibrio e giustizia dall'Aldobrandini?
L’identificazione delle virtù bibliche è affidata agli attributi che accompagnano le due figure, seguendo le canoniche indicazioni tratteggiate nell’apparato illustrativo della "Iconologia" di Cesare Ripa (1593): la Giustizia, con la benda, la corona e la bilancia, e la Pace, con la corona di olivo e le spighe di grano.
Inoltre, la presenza del caduceo in mano ad un putto, nella sua accezione generale di rimando a Mercurio, può essere collegata al commercio che si sviluppa e prospera in un clima caratterizzato dalla pace e dalla giustizia (soprattutto con gli stati confinanti), ovvero considerata - come suggerisce Cottino (2011, p. 36, e 2012, cat. 15) - un rimando colto al repertorio di Vincenzo Cartari ("Le Imagini con la Spositione de i Dei de gli Antichi", Venezia, 1556): il caduceo «al suo apparire faceva cadere tutte le discordie, & fu perciò la insegna della pace. Onde la portavano gli ambasciadori, che andavano per quella, li quali furono ancho poi chiamati Caduceatori», nel che si potrebbe leggere un riferimento al ruolo del delegato pontificio Aldobrandini. Mentre il fascio di verghe in allusione alla giustizia, richiama nuovamente il Ripa, poiché «era portato anticamente in Roma da littori innanzi à Consoli, & al Tribuno della Plebe, per mostrar che non si deve rimanere di castigare, ove richieda la Giustizia, né si deve esser precipitoso: ma dar tempo a maturare il giuditio nello sciorre delle verghe» (Ripa, 1593, ed. cons. 1618, p. 162).
Analogo ragionamento può svolgersi per l’eclissi che appare sull’angolo superiore sinistro: stando alle parole di Erodoto, è da considerarsi emblema di pace in quanto, nel VI secolo, fu proprio la repentina trasformazione del giorno in notte che mise fine al lungo perpetrarsi degli scontri tra Lidi e Medi, portando così i rivali alla tregua. Anche in questo caso, è possibile una interpretazione ulteriore, con riguardo alla cultura poetica del Mercati: l'eclisse di sole «potrebbe essere allusiv[a] al concetto di congiunzione (sole-luna = Pace e Giustizia)», accentuato dal «raffinato gioco di sfioramenti, sguardi e sorrisi tra le due giovani in primo piano, pallide protagoniste di un'effusione da
slow motion ambiguamente scivolante tra castità ed erotismo» (Cottino 2011, p. 36, e 2012, cat. 15).
Una più puntuale e approfondita analisi iconografica del complesso tema umanistico si legge nello studio di Pascucci (2018), cui va dato il merito di aver offerto, con l'identificazione della figura di Paolo Mercati, una chiave di volta per la contestualizzazione e la interpretazione dell'opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.