Lotti Bonino

Lot 282

Andrea Mantegna (1431 – 1506) , cerchia di, o Gentile Bellini (14291507), cerchia di

Federico I Gonzaga (?), 1475-1525

La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €50000 - €70000
Lotto aggiudicato a € 43050.00
Olio su tavola
57,5 x 41,5 cm

Elementi distintivi:
al verso su due traverse della parchettatura, in pennarello nero, «LK 115»; al retro della cornice, in alto in gesso bianco «483», sull’asse destro in gesso giallo «OMP/1036139» in relazione a passaggi d'asta

Provenienza:
Bruno Lorenzelli, Bergamo; Collezione Carlo Orsi, Milano

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 70% (tavola assottigliata e parchettata)
Condizione superficie: 70% (numerose cadute di colore, abrasioni e ritocchi anche nel viso e nel cappello, anche con materia eccedente; sollevamenti)

Diretta ed enorme è stata l’influenza di Andrea Mantegna (1431-1506) nelle città del centro-nord Italia in cui lavorò nella seconda metà del XV secolo, diffondendo il gusto “archeologico”, attraverso il recupero della cultura e di motivi artistici classici, unitamente alla passione rinascimentale per la resa meticolosa ed al contempo idealizzata della realtà.
Gli è particolarmente vicino, anche per ragioni familiari (Mantegna ne sposa la sorella Nicolosia), Gentile Bellini (1429-1507), pittore e medaglista della Repubblica di Venezia, figlio maggiore di Jacopo (1396?-1470?) e fratello di Giovanni (1427/1430 circa - 1516) che rinnova la ritrattistica veneziana, riducendo il peso del rilievo plastico in favore di immagini piane descritte con linee di contorno incise, entro cui si incastonano i colori in morbido chiaroscuro: con esiti di una eleganza distante e senza tempo che in breve lo rendono il ritrattista più ricercato dall'aristocrazia lagunare.
La tavola in asta è assai fascinosa, avvolta in due misteri tra loro connessi, l'autore e il soggetto.
Sul piano dell'autografia, è stata finora attribuito al veronese Francesco Bonsignori (1455-1519), che nel 1487 si trasferisce da Venezia a Mantova, nel 1490 entra nella bottega di Mantegna e tra il 1491 e il 1492 lo assiste nella decorazione del palazzo di Marmirolo, legandosi sempre più alla famiglia regnante, i Gonzaga, che gli conferiscono, a fianco al maestro, la carica di pittore di corte sino al 1505. Figlio d'arte - il padre Alberto è pittore dilettante - e fratello di Bernardino e Girolamo anch'essi pittori, Bonsignori si perfeziona a Verona sotto la guida di Francesco Benaglio (1430 circa-1492) fino al 1480, e poi a Venezia dove è influenzato dai Bellini. Un’opera, datata di pugno di Bonsignori “1487”, ci assicura circa il suo stile all’arrivo in città, il famoso "Ritratto di uomo anziano" conservato alla National Gallery di Londra (NG736). L’impatto con Mantegna si legge nella forte tridimensionalità e nella attenzione disegnativa, elementi che si attenueranno molto nel tempo, in favore di una maggiore "morbidezza" dei volumi, affidati prevalentemente alle sfumature di colore, secondo la lezione di Gentile Bellini. Bonsignori raggiunge così un suo canone rappresentativo della figura umana, scandagliabile con un approccio “morelliano”: i dettagli morfologici - naso, bocca, occhi etc - si standardizzano per modellato e forma, consentendo importanti indicazioni anche per il nostro dipinto. Si vedano, per esempio, i differenti personaggi della "Madonna con quattro santi" (1490-1510 circa, National Gallery, Londra, inv. NG3091): il secondo in particolare per il morbido modellato, per la fattura degli occhi – pupille e orbite - delle labbra; il santo più a sinistra, rivolto verso l'osservatore, invece, per i capelli realizzati in modo grafico. Similmente, la "Testa di santa", conservata al Museo Poldi-Pezzoli, Milano, e anch'essa databile al discepolato con Mantegna, mostra l'interesse di Bonsignori per i dettagli decorativi: il ricamo sulla veste della santa può infatti essere agevolmente accostato, sia per la rapida costruzione delle forme sia per gli effetti luministici, tutti ottenuti con pennellate dense e sicure, al collare indossato dal personaggio ritratto nella nostra tavola.
È anche possibile raffrontare il ritratto in esame direttamente con l'opera di Gentile Bellini, nell'ipotesi di attribuzione ad un autore della sua cerchia. Per esempio, il "Ritratto del Doge Giovanni Mocenigo", oggi conservato al Museo Correr, in Venezia, databile al 1478-1485, presenta una impostazione medaglistica simile e si avvicina assai alla nostra tavola, fermo il diverso registro qualitativo, anche sul piano della tecnica e della fisionomia. Innanzitutto, si osservi la profilatura in nero entro la quale è contenuto il colore, visibile all’infrarosso anche nel nostro dipinto. Poi, il trattamento della bocca, la linea quasi identica della guancia, del setto nasale, dello zigomo e delle rughe. Nel "Ritratto di Doge", forse Pasquale Malipiero (in carica dal 1457 al 1462), conservato al Boston Museum of Fine Arts, nonostante il precario stato conservativo, la definizione della borsa dell'occhio e della zampa di gallina, così come l'ombreggiatura della radice del naso sembra offrire un modello anatomico alla nostra tavola. Nell’opera, precoce rispetto ai contatti tra Bonsignori e i Bellini (che risalgono al 1480), la volumetria affidata alla sfumatura, che consente una grande morbidezza e vivacità del carnato, sembra a monte della nostra tavola. Anche l'attaccatura di fronte e setto nasale, nelle tre opere, è trattata in modo analogo.
Al fine di raccogliere ulteriori elementi utili a circoscrivere l’attribuzione, nel settembre 2023, il dipinto è stato oggetto di un ampio set di analisi scientifiche, ad opera di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente; riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.); infrarosso in falso colore; spettrometria di riflettanza e microscopia ottica digitale. Inoltre la casa d'aste ha effettuato una dettagliata ripresa all'ultravioletto (UV).
In infrarosso sono emerse tracce di disegno soggiacente nella definizione dell'orecchio e ha preso maggiore evidenza il disegno di profilatura, già visibile ad occhio nudo, consentendo di leggere meglio l'arretramento del punto di giuntura tra fronte e setto nasale. Dalla lettura coordinata di infrarosso, di ultravioletto e, in luce visibile, del diverso orientamento delle pennellate, è stato possibile osservare come l'intera figura, profilo e copricapo, abbia avuto sia una predisposizione inizialmente più ampia, di circa 1 cm, sia una seconda più stretta: apparentemente il pittore ha inizialmente dedicato alla figura un'area maggiore; ha dunque dipinto una prima versione più contenuta di quella attuale, che invece occupa uno spazio, per così dire a metà, tra lo spazio sagomato e la prima stesura. In particolare l'avanzare della fronte, sino al confine determinato dal disegno, è molto ben leggibile nella luce ultravioletta, che mostra anche l'importante ampliamento della pappagorgia, sotto la quale (così come sotto al colletto di pelliccia, dipinto sull'incarnato già ultimato) si innesta la prima stesura del collo, poi in parte coperta. Nel copricapo, una linea prosegue dalla fronte al culmine arretrata di circa 1 cm rispetto allo attuale confine. Apparentemente anche sotto al naso si legge una forma che può suggerire un precedente posizionamento, leggermente più alto e arretrato. Del tutto afferente alla stesura pittorica originale, ed eccezionale per qualità, appare la realizzazione libera e assai sicura del collare dorato, con l’attenta definizione degli elefanti turriti in prospettiva e volumetria molto efficaci ottenute con un chiaroscuro sapientemente lumeggiato. Allo stesso modo, pregevole è la resa della bordatura di pelliccia - purtroppo oggetto di ampi ritocchi -, con attenzione anche all’emergere dei peli, analoghi al trattamento dei capelli con tratti lineari.
Lo studio dei pigmenti ha messo in vista uno «sfondo costituito da un mix di ocre o terre con parti di vermiglione finemente macinato e pigmento nero, sopra la preparazione bianca». Il vermiglione è impiegato anche «nel copricapo e, miscelato a biacca e poco pigmento azzurro, nei carnati». Giallo di piombo e vermiglione sono impiegati «nella definizione raffinata della catena con elefanti».
Nel loro complesso le evidenze emerse mostrano che il dipinto ha rilevanti elementi di invenzione e per materiali è databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.
Così esclusa l’ipotesi di una copia da un dipinto precedente, la tavola deve essere stata realizzata in diretta connessione con il personaggio ritratto.
L’impostazione, di profilo netto, evoca la medaglistica romana, secondo un modello largamente coltivato da Mantegna che dal 1460 è attivo a Mantova alla corte di Ludovico II (in alcune fonti definito anche Ludovico III), da cui irradia l'umanesimo pittorico patavino. Proprio alla corte di Mantova è connessa la nostra tavola. Al collo dell’effigiato si riconosce infatti il collare d’oro di un prestigioso ordine cavalleresco danese, prima noto come «Ordine di Santa Maria o Confraternita o Fraternità» e poi come «Ordine dell’Elefante» (Gianfrancesco Pivati, "Nuovo dizionario scientifico e curioso sacro profano", tomo terzo, Venezia, 1746, p. 485): la fattura appartiene alla fase di transizione, compaiono già gli elefanti turriti, alternati a elementi tondi raggiati che ricordano delle stelle, ma il pendente, apparentemente ospitante due spade incrociate, non è ancora quello in uso dalla fine del Quattrocento, un grande elefante turrito. Come si evince dagli archivi dell’Ordine (J.H.F. Berlin, "Der Elefanten-Orden und seine Ritter", Copenhagen, 1846, p. 58), tra le personalità di spicco così decorate da re Cristiano I di Danimarca (1426-1481), si annoverano tre Gonzaga - Federico I, Ludovico III e Barbara - e altri due personaggi (Germiniano da Treviso e Edoardo Giustiani), di cui non sono note raffigurazioni per eventuali confronti. Il legame tra i marchesi di Mantova e la corona danese si era infatti intensificato, durante gli anni del regno di Cristiano I, la cui moglie Dorotea era la sorella di Barbara Hohenzollern di Brandeburgo, sposa di Ludovico.
I candidati alla identificazione sono quindi due, entrambi marchesi di Mantova: Ludovico II Gonzaga, detto il Turco (1412-1478), insignito dell'ordine nel 1474, ed il figlio Federico I Gonzaga (1441-1484), nominato cavaliere addirittura prima del padre, il 1 dicembre 1462, poco più che ventunenne (Pivati, 1746, p. 485), in seno alle trattative per il suo matrimonio (l’8 settembre era stato stipulato il contratto di fidanzamento, verosimilmente incoraggiato dalla madre, con la principessa di origini tedesche Margherita di Wittelsbach).
Nella complessità di giudizio determinata dal dover fare paragoni con ritratti fortemente stereotipati, il parere degli specialisti circa l'identificazione è diviso. Giancarlo Malacarne, specialista di araldica e genealogia gonzaghesca, rileva «qualche somiglianza con Ludovico II Gonzaga» ma sottolinea che «a quell'età (che si riscontra più o meno sul ritratto) il marchese di Mantova portava capelli cortissimi». Maggiori somiglianze riscontra con «Federico I», segnalando tuttavia nell'uomo ritratto una età, a suo parere, più avanzata ed è cauto nella assegnazione in assenza di un «rimando iconografico», di «uno stemma o di un'impresa» (comunicazioni del 23 e 30 ottobre 2023). Mattia Vinco esclude l'identificazione con «Ludovico III [= II] Gonzaga, la cui iconografia ci è nota da varie testimonianze, tra cui gli affreschi della Camera degli Sposi di Andrea Mantegna». Ritiene possibile l'identificazione con «un personaggio quattrocentesco (della corte gonzaghesca o estense), ma la materia pittorica e la pettinatura fanno pensare a un'opera già del primo quarto del XVI secolo, probabilmente dell'Italia settentrionale, derivata da un prototipo più antico», senza che si possa «circoscriverne ulteriormente l'ambito geografico», o «assegnarla all'ambito veronese». Al contrario, Paolo Bertelli, su base fotografica «per aspetto» non ritiene l'opera «distante» da Francesco Bonsignori, alla monografia del quale sta lavorando. Non concorda con l'identificazione con Federico I Gonzaga, per ragioni fisionomiche, preferendo l'ipotesi relativa a Ludovico II Gonzaga («In effetti fu lui ad essere insignito, nel 1474 del collare non dell’Ordine dell’Elefante (che risale al Seicento), ma quello della Compagnia della Madre di Dio, composto da un medaglione con la Vergine e il Bambino, sorretto da una catena d’oro dove si alternavano torri portate da elefanti. Che è il collare che si vede nel dipinto»): anche se la domanda sul personaggio ritrattato «non ha una risposta facile. Non conosco ritratti di profilo del marchese, se non quello della Camera Picta e la medaglistica. L’esame di quanto il dipinto presenta ha degli aspetti positivi ma anche delle non perfette coincidenze, come nella zona buccale, e del mento» anche se «alcune medaglie, come quella del Melioli, presentano un aspetto più coerente anche in queste parti» (comunicazione del 13 novembre 2023).
Se si assume che il pittore abbia ritratto il marchese regnante ovvero, a memoria o partendo dalla suggestione di immagini esistenti, il marchese da poco defunto, si può ritenere che l'opera in esame sia stata dipinta tra il 1478 e il 1488. In questo lasso di tempo, Federico I aveva tra 37 e 43 anni, una età che collima perfettamente con il dipinto in studio. Un confronto iconografico può essere fatto con il suo ritratto nell’affresco della parete ovest, detto “dell’Incontro”, nella Camera degli Sposi realizzata da Mantegna tra il 1465 e il 1474. Analogie fisionomiche intercorrono nella curvatura del naso, nella linea del profilo, nei capelli lunghi sulla nuca e nell’ingrossata base cervicale. Peraltro, il dipinto in esame appartiene ad una produzione ritrattistica di grande successo nella corte gonzaghesca: la stessa tipologia figurativa, profilo numismatico con l’analoga berretta rossa, è sperimentata da Mantegna nel piccolo "Ritratto di Francesco Gonzaga da ragazzo", futuro cardinale e fratello di Federico I, datato al 1460-62 e oggi conservato al Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli (inv. Q60).
Si può ora ulteriormente sondare il tema attributivo, considerando come autore più probabile Francesco Bonsignori - molto lodato da Vasari come ritrattista tra i veronesi che lavorarono per i Gonzaga – al suo arrivo a Mantova o un coevo artista anonimo, ma strettamente legato a Mantegna e a Gentile Bellini.
La gran parte delle opere di Bonsignori a Mantova sono pale d'altare e ritratti di committenza gonzaghesca, molti di questi utilizzati come regali a sovrani stranieri di tutti gli stati italiani e ai principi di Francia e Germania. Anche gli Sforza, duchi di Milano, commissionarono a Bonsignori ritratti dei Gonzaga per le proprie raccolte. Moltissime furono anche le opere dipinte da Bonsignori perché rimanessero “in famiglia”, in particolare durante la signoria di Francesco II Gonzaga (1455-1519), cui l'artista fu molto legato: per esempio, nel 1494 il ritratto della figlia di Francesco, Eleonora, ad un anno di età (1493-1550 circa); nel 1495 il ritratto del futuro cardinale Ippolito, di nuovo ad un anno di età; sempre nel 1495 l’affresco commemorativo della battaglia di Fornovo (6 luglio 1495, in cui, sotto il commando di Francesco Gonzaga, Mantova, Venezia e Milano sconfiggono Carlo VIII di Francia e i suoi alleati italiani); nel 1499 il ritratto di Isabella d'Este, quarta marchesa di Mantova, che spesso inviava in dono alle sue "cortigiane" i suoi ritratti; nel 1506 una "Ultima Cena" per il monastero di Francesco de' Zoccolanti a Mantova, in cui compaiono, insieme al cardinale Sigismondo Gonzaga (1469–1525) e ad Eleonora Gonzaga, Federico Gonzaga, erede al marchesato, inginocchiato davanti al padre Francesco; nel 1509, il ritratto di Elisabetta Gonzaga (1471–1526; Uffizi, Firenze) e quello di Emilia Pia di Montefeltro (1470–1528) (MD Museum, Baltimora).
A conferma della scivolosa complessità attributiva di questi lavori, un ritratto a gesso di Francesco Gonzaga (Galleria Nazionale, Dublino), firmato da Bonsignori, per la sua alta qualità è stato alternativamente attribuito anche ad Andrea Mantegna e Giovanni Bellini.
L’insieme dei dati emersi portano a pensare ad un autore costantemente in contatto con la lezione di Gentile Bellini e di Mantegna - probabilmente Bonsignori – dotato di una spiccata autonomia stilistica e di un interesse per il dato di realtà che valica la distanza di ruolo tra pittore e ritrattato: il modello, infatti, - elemento che accentua la rarità e l’interesse dell’opera – è rappresentato quasi trasandato – i capelli, in particolare – di contro all’importanza sociale sottolineata dalla decorazione araldica e dall’impostazione medaglistica.

Ringraziamo il Professor Paolo Bertelli e i Dottori Gian Carlo Malacarne, Gianluca Poldi e Mattia Vinco per il prezioso supporto dato alla catalogazione dell'opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.
Olio su tavola
57,5 x 41,5 cm

Elementi distintivi:
al verso su due traverse della parchettatura, in pennarello nero, «LK 115»; al retro della cornice, in alto in gesso bianco «483», sull’asse destro in gesso giallo «OMP/1036139» in relazione a passaggi d'asta

Provenienza:
Bruno Lorenzelli, Bergamo; Collezione Carlo Orsi, Milano

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 70% (tavola assottigliata e parchettata)
Condizione superficie: 70% (numerose cadute di colore, abrasioni e ritocchi anche nel viso e nel cappello, anche con materia eccedente; sollevamenti)

Diretta ed enorme è stata l’influenza di Andrea Mantegna (1431-1506) nelle città del centro-nord Italia in cui lavorò nella seconda metà del XV secolo, diffondendo il gusto “archeologico”, attraverso il recupero della cultura e di motivi artistici classici, unitamente alla passione rinascimentale per la resa meticolosa ed al contempo idealizzata della realtà.
Gli è particolarmente vicino, anche per ragioni familiari (Mantegna ne sposa la sorella Nicolosia), Gentile Bellini (1429-1507), pittore e medaglista della Repubblica di Venezia, figlio maggiore di Jacopo (1396?-1470?) e fratello di Giovanni (1427/1430 circa - 1516) che rinnova la ritrattistica veneziana, riducendo il peso del rilievo plastico in favore di immagini piane descritte con linee di contorno incise, entro cui si incastonano i colori in morbido chiaroscuro: con esiti di una eleganza distante e senza tempo che in breve lo rendono il ritrattista più ricercato dall'aristocrazia lagunare.
La tavola in asta è assai fascinosa, avvolta in due misteri tra loro connessi, l'autore e il soggetto.
Sul piano dell'autografia, è stata finora attribuito al veronese Francesco Bonsignori (1455-1519), che nel 1487 si trasferisce da Venezia a Mantova, nel 1490 entra nella bottega di Mantegna e tra il 1491 e il 1492 lo assiste nella decorazione del palazzo di Marmirolo, legandosi sempre più alla famiglia regnante, i Gonzaga, che gli conferiscono, a fianco al maestro, la carica di pittore di corte sino al 1505. Figlio d'arte - il padre Alberto è pittore dilettante - e fratello di Bernardino e Girolamo anch'essi pittori, Bonsignori si perfeziona a Verona sotto la guida di Francesco Benaglio (1430 circa-1492) fino al 1480, e poi a Venezia dove è influenzato dai Bellini. Un’opera, datata di pugno di Bonsignori “1487”, ci assicura circa il suo stile all’arrivo in città, il famoso "Ritratto di uomo anziano" conservato alla National Gallery di Londra (NG736). L’impatto con Mantegna si legge nella forte tridimensionalità e nella attenzione disegnativa, elementi che si attenueranno molto nel tempo, in favore di una maggiore "morbidezza" dei volumi, affidati prevalentemente alle sfumature di colore, secondo la lezione di Gentile Bellini. Bonsignori raggiunge così un suo canone rappresentativo della figura umana, scandagliabile con un approccio “morelliano”: i dettagli morfologici - naso, bocca, occhi etc - si standardizzano per modellato e forma, consentendo importanti indicazioni anche per il nostro dipinto. Si vedano, per esempio, i differenti personaggi della "Madonna con quattro santi" (1490-1510 circa, National Gallery, Londra, inv. NG3091): il secondo in particolare per il morbido modellato, per la fattura degli occhi – pupille e orbite - delle labbra; il santo più a sinistra, rivolto verso l'osservatore, invece, per i capelli realizzati in modo grafico. Similmente, la "Testa di santa", conservata al Museo Poldi-Pezzoli, Milano, e anch'essa databile al discepolato con Mantegna, mostra l'interesse di Bonsignori per i dettagli decorativi: il ricamo sulla veste della santa può infatti essere agevolmente accostato, sia per la rapida costruzione delle forme sia per gli effetti luministici, tutti ottenuti con pennellate dense e sicure, al collare indossato dal personaggio ritratto nella nostra tavola.
È anche possibile raffrontare il ritratto in esame direttamente con l'opera di Gentile Bellini, nell'ipotesi di attribuzione ad un autore della sua cerchia. Per esempio, il "Ritratto del Doge Giovanni Mocenigo", oggi conservato al Museo Correr, in Venezia, databile al 1478-1485, presenta una impostazione medaglistica simile e si avvicina assai alla nostra tavola, fermo il diverso registro qualitativo, anche sul piano della tecnica e della fisionomia. Innanzitutto, si osservi la profilatura in nero entro la quale è contenuto il colore, visibile all’infrarosso anche nel nostro dipinto. Poi, il trattamento della bocca, la linea quasi identica della guancia, del setto nasale, dello zigomo e delle rughe. Nel "Ritratto di Doge", forse Pasquale Malipiero (in carica dal 1457 al 1462), conservato al Boston Museum of Fine Arts, nonostante il precario stato conservativo, la definizione della borsa dell'occhio e della zampa di gallina, così come l'ombreggiatura della radice del naso sembra offrire un modello anatomico alla nostra tavola. Nell’opera, precoce rispetto ai contatti tra Bonsignori e i Bellini (che risalgono al 1480), la volumetria affidata alla sfumatura, che consente una grande morbidezza e vivacità del carnato, sembra a monte della nostra tavola. Anche l'attaccatura di fronte e setto nasale, nelle tre opere, è trattata in modo analogo.
Al fine di raccogliere ulteriori elementi utili a circoscrivere l’attribuzione, nel settembre 2023, il dipinto è stato oggetto di un ampio set di analisi scientifiche, ad opera di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente; riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.); infrarosso in falso colore; spettrometria di riflettanza e microscopia ottica digitale. Inoltre la casa d'aste ha effettuato una dettagliata ripresa all'ultravioletto (UV).
In infrarosso sono emerse tracce di disegno soggiacente nella definizione dell'orecchio e ha preso maggiore evidenza il disegno di profilatura, già visibile ad occhio nudo, consentendo di leggere meglio l'arretramento del punto di giuntura tra fronte e setto nasale. Dalla lettura coordinata di infrarosso, di ultravioletto e, in luce visibile, del diverso orientamento delle pennellate, è stato possibile osservare come l'intera figura, profilo e copricapo, abbia avuto sia una predisposizione inizialmente più ampia, di circa 1 cm, sia una seconda più stretta: apparentemente il pittore ha inizialmente dedicato alla figura un'area maggiore; ha dunque dipinto una prima versione più contenuta di quella attuale, che invece occupa uno spazio, per così dire a metà, tra lo spazio sagomato e la prima stesura. In particolare l'avanzare della fronte, sino al confine determinato dal disegno, è molto ben leggibile nella luce ultravioletta, che mostra anche l'importante ampliamento della pappagorgia, sotto la quale (così come sotto al colletto di pelliccia, dipinto sull'incarnato già ultimato) si innesta la prima stesura del collo, poi in parte coperta. Nel copricapo, una linea prosegue dalla fronte al culmine arretrata di circa 1 cm rispetto allo attuale confine. Apparentemente anche sotto al naso si legge una forma che può suggerire un precedente posizionamento, leggermente più alto e arretrato. Del tutto afferente alla stesura pittorica originale, ed eccezionale per qualità, appare la realizzazione libera e assai sicura del collare dorato, con l’attenta definizione degli elefanti turriti in prospettiva e volumetria molto efficaci ottenute con un chiaroscuro sapientemente lumeggiato. Allo stesso modo, pregevole è la resa della bordatura di pelliccia - purtroppo oggetto di ampi ritocchi -, con attenzione anche all’emergere dei peli, analoghi al trattamento dei capelli con tratti lineari.
Lo studio dei pigmenti ha messo in vista uno «sfondo costituito da un mix di ocre o terre con parti di vermiglione finemente macinato e pigmento nero, sopra la preparazione bianca». Il vermiglione è impiegato anche «nel copricapo e, miscelato a biacca e poco pigmento azzurro, nei carnati». Giallo di piombo e vermiglione sono impiegati «nella definizione raffinata della catena con elefanti».
Nel loro complesso le evidenze emerse mostrano che il dipinto ha rilevanti elementi di invenzione e per materiali è databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.
Così esclusa l’ipotesi di una copia da un dipinto precedente, la tavola deve essere stata realizzata in diretta connessione con il personaggio ritratto.
L’impostazione, di profilo netto, evoca la medaglistica romana, secondo un modello largamente coltivato da Mantegna che dal 1460 è attivo a Mantova alla corte di Ludovico II (in alcune fonti definito anche Ludovico III), da cui irradia l'umanesimo pittorico patavino. Proprio alla corte di Mantova è connessa la nostra tavola. Al collo dell’effigiato si riconosce infatti il collare d’oro di un prestigioso ordine cavalleresco danese, prima noto come «Ordine di Santa Maria o Confraternita o Fraternità» e poi come «Ordine dell’Elefante» (Gianfrancesco Pivati, "Nuovo dizionario scientifico e curioso sacro profano", tomo terzo, Venezia, 1746, p. 485): la fattura appartiene alla fase di transizione, compaiono già gli elefanti turriti, alternati a elementi tondi raggiati che ricordano delle stelle, ma il pendente, apparentemente ospitante due spade incrociate, non è ancora quello in uso dalla fine del Quattrocento, un grande elefante turrito. Come si evince dagli archivi dell’Ordine (J.H.F. Berlin, "Der Elefanten-Orden und seine Ritter", Copenhagen, 1846, p. 58), tra le personalità di spicco così decorate da re Cristiano I di Danimarca (1426-1481), si annoverano tre Gonzaga - Federico I, Ludovico III e Barbara - e altri due personaggi (Germiniano da Treviso e Edoardo Giustiani), di cui non sono note raffigurazioni per eventuali confronti. Il legame tra i marchesi di Mantova e la corona danese si era infatti intensificato, durante gli anni del regno di Cristiano I, la cui moglie Dorotea era la sorella di Barbara Hohenzollern di Brandeburgo, sposa di Ludovico.
I candidati alla identificazione sono quindi due, entrambi marchesi di Mantova: Ludovico II Gonzaga, detto il Turco (1412-1478), insignito dell'ordine nel 1474, ed il figlio Federico I Gonzaga (1441-1484), nominato cavaliere addirittura prima del padre, il 1 dicembre 1462, poco più che ventunenne (Pivati, 1746, p. 485), in seno alle trattative per il suo matrimonio (l’8 settembre era stato stipulato il contratto di fidanzamento, verosimilmente incoraggiato dalla madre, con la principessa di origini tedesche Margherita di Wittelsbach).
Nella complessità di giudizio determinata dal dover fare paragoni con ritratti fortemente stereotipati, il parere degli specialisti circa l'identificazione è diviso. Giancarlo Malacarne, specialista di araldica e genealogia gonzaghesca, rileva «qualche somiglianza con Ludovico II Gonzaga» ma sottolinea che «a quell'età (che si riscontra più o meno sul ritratto) il marchese di Mantova portava capelli cortissimi». Maggiori somiglianze riscontra con «Federico I», segnalando tuttavia nell'uomo ritratto una età, a suo parere, più avanzata ed è cauto nella assegnazione in assenza di un «rimando iconografico», di «uno stemma o di un'impresa» (comunicazioni del 23 e 30 ottobre 2023). Mattia Vinco esclude l'identificazione con «Ludovico III [= II] Gonzaga, la cui iconografia ci è nota da varie testimonianze, tra cui gli affreschi della Camera degli Sposi di Andrea Mantegna». Ritiene possibile l'identificazione con «un personaggio quattrocentesco (della corte gonzaghesca o estense), ma la materia pittorica e la pettinatura fanno pensare a un'opera già del primo quarto del XVI secolo, probabilmente dell'Italia settentrionale, derivata da un prototipo più antico», senza che si possa «circoscriverne ulteriormente l'ambito geografico», o «assegnarla all'ambito veronese». Al contrario, Paolo Bertelli, su base fotografica «per aspetto» non ritiene l'opera «distante» da Francesco Bonsignori, alla monografia del quale sta lavorando. Non concorda con l'identificazione con Federico I Gonzaga, per ragioni fisionomiche, preferendo l'ipotesi relativa a Ludovico II Gonzaga («In effetti fu lui ad essere insignito, nel 1474 del collare non dell’Ordine dell’Elefante (che risale al Seicento), ma quello della Compagnia della Madre di Dio, composto da un medaglione con la Vergine e il Bambino, sorretto da una catena d’oro dove si alternavano torri portate da elefanti. Che è il collare che si vede nel dipinto»): anche se la domanda sul personaggio ritrattato «non ha una risposta facile. Non conosco ritratti di profilo del marchese, se non quello della Camera Picta e la medaglistica. L’esame di quanto il dipinto presenta ha degli aspetti positivi ma anche delle non perfette coincidenze, come nella zona buccale, e del mento» anche se «alcune medaglie, come quella del Melioli, presentano un aspetto più coerente anche in queste parti» (comunicazione del 13 novembre 2023).
Se si assume che il pittore abbia ritratto il marchese regnante ovvero, a memoria o partendo dalla suggestione di immagini esistenti, il marchese da poco defunto, si può ritenere che l'opera in esame sia stata dipinta tra il 1478 e il 1488. In questo lasso di tempo, Federico I aveva tra 37 e 43 anni, una età che collima perfettamente con il dipinto in studio. Un confronto iconografico può essere fatto con il suo ritratto nell’affresco della parete ovest, detto “dell’Incontro”, nella Camera degli Sposi realizzata da Mantegna tra il 1465 e il 1474. Analogie fisionomiche intercorrono nella curvatura del naso, nella linea del profilo, nei capelli lunghi sulla nuca e nell’ingrossata base cervicale. Peraltro, il dipinto in esame appartiene ad una produzione ritrattistica di grande successo nella corte gonzaghesca: la stessa tipologia figurativa, profilo numismatico con l’analoga berretta rossa, è sperimentata da Mantegna nel piccolo "Ritratto di Francesco Gonzaga da ragazzo", futuro cardinale e fratello di Federico I, datato al 1460-62 e oggi conservato al Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli (inv. Q60).
Si può ora ulteriormente sondare il tema attributivo, considerando come autore più probabile Francesco Bonsignori - molto lodato da Vasari come ritrattista tra i veronesi che lavorarono per i Gonzaga – al suo arrivo a Mantova o un coevo artista anonimo, ma strettamente legato a Mantegna e a Gentile Bellini.
La gran parte delle opere di Bonsignori a Mantova sono pale d'altare e ritratti di committenza gonzaghesca, molti di questi utilizzati come regali a sovrani stranieri di tutti gli stati italiani e ai principi di Francia e Germania. Anche gli Sforza, duchi di Milano, commissionarono a Bonsignori ritratti dei Gonzaga per le proprie raccolte. Moltissime furono anche le opere dipinte da Bonsignori perché rimanessero “in famiglia”, in particolare durante la signoria di Francesco II Gonzaga (1455-1519), cui l'artista fu molto legato: per esempio, nel 1494 il ritratto della figlia di Francesco, Eleonora, ad un anno di età (1493-1550 circa); nel 1495 il ritratto del futuro cardinale Ippolito, di nuovo ad un anno di età; sempre nel 1495 l’affresco commemorativo della battaglia di Fornovo (6 luglio 1495, in cui, sotto il commando di Francesco Gonzaga, Mantova, Venezia e Milano sconfiggono Carlo VIII di Francia e i suoi alleati italiani); nel 1499 il ritratto di Isabella d'Este, quarta marchesa di Mantova, che spesso inviava in dono alle sue "cortigiane" i suoi ritratti; nel 1506 una "Ultima Cena" per il monastero di Francesco de' Zoccolanti a Mantova, in cui compaiono, insieme al cardinale Sigismondo Gonzaga (1469–1525) e ad Eleonora Gonzaga, Federico Gonzaga, erede al marchesato, inginocchiato davanti al padre Francesco; nel 1509, il ritratto di Elisabetta Gonzaga (1471–1526; Uffizi, Firenze) e quello di Emilia Pia di Montefeltro (1470–1528) (MD Museum, Baltimora).
A conferma della scivolosa complessità attributiva di questi lavori, un ritratto a gesso di Francesco Gonzaga (Galleria Nazionale, Dublino), firmato da Bonsignori, per la sua alta qualità è stato alternativamente attribuito anche ad Andrea Mantegna e Giovanni Bellini.
L’insieme dei dati emersi portano a pensare ad un autore costantemente in contatto con la lezione di Gentile Bellini e di Mantegna - probabilmente Bonsignori – dotato di una spiccata autonomia stilistica e di un interesse per il dato di realtà che valica la distanza di ruolo tra pittore e ritrattato: il modello, infatti, - elemento che accentua la rarità e l’interesse dell’opera – è rappresentato quasi trasandato – i capelli, in particolare – di contro all’importanza sociale sottolineata dalla decorazione araldica e dall’impostazione medaglistica.

Ringraziamo il Professor Paolo Bertelli e i Dottori Gian Carlo Malacarne, Gianluca Poldi e Mattia Vinco per il prezioso supporto dato alla catalogazione dell'opera.
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