Lotti Bonino
Lot 293
Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1518 – 1594) , bottega di; Marietta del Tintoretto (1554 circa – 1590) (?); o Cesare Vecellio (1521 –1601) (?)
Flora o Ritratto femminile (Irene di Spilimbergo?), 1580-1590 ca.
La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €25000 - €35000
Lotto aggiudicato a € 22000.00
Olio su tela
50 x 40 cm
Elementi distintivi:
sul telaio, in pennarello nero, «L.K 768 / SAF»; etichetta in carta legata con filo rosso sull’angolo sinistro del verso, in penna nera, «L.K. 768»
Provenienza:
Collezione Safarik, San Michele in Teverina; Collezione Koelliker (settembre 2002)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelo, telaio sostituito)
Condizione superficie: 65% (diffuse cadute di colore, anche nel volto, fondo consunto)
50 x 40 cm
Elementi distintivi:
sul telaio, in pennarello nero, «L.K 768 / SAF»; etichetta in carta legata con filo rosso sull’angolo sinistro del verso, in penna nera, «L.K. 768»
Provenienza:
Collezione Safarik, San Michele in Teverina; Collezione Koelliker (settembre 2002)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelo, telaio sostituito)
Condizione superficie: 65% (diffuse cadute di colore, anche nel volto, fondo consunto)
Nel Cinquecento veneziano il ritratto gode il suo periodo di maggiore diffusione e fortuna, sulla scorta dei capolavori realizzati da grandi maestri come Tiziano, Veronese e Tintoretto.
Il “Ritratto di fanciulla” che qui si presenta nella nuda forza della pittura originale, a seguito di una accurata pulizia e non ancora reintegrato, è stato a lungo conservato nella collezione di Eduard A. Safarik (1928-2015), grande conoscitore della pittura veneta, di laguna e d’entroterra, tra Quattrocento e Settecento.
Si possono accennare, per argomento, i suoi contributi sulle vedute londinesi di Canaletto (1961), Sebastiano del Piombo (1963), Veronese (1964, 1968, 1988), il Settecento veneziano nelle collezioni cecoslovacche (1964), Cariani (1972, 1984), Forabosco (1973, 1996), Francesco e Pietro Calzetta (1974), Girolamo e Giulio Campagnola (1974), Mazzoni (1974), Camillo Capelli (1975), Liss (1975), Caprioli (1976), Eismann (1976), Ruschi (1976), Caroto (1977), Negri (1978), Catena (1979), Pallucchini (1981, 1984, 2001), Fetti (1984, 1985, 1990, 1996; di Fetti Safarik ha curato anche il catalogo ragionato nel 1991), la pittura del Seicento a Venezia (1988, 1989, 2003), la natura morta nel Veneto (1989), Tinelli (1990), Johann Kupezky (1964, 1972, 2001).
Safarik riteneva la piccola tela in esame un autoritratto di Marietta Robusti (1554 circa – 1590), figlia di Jacopo Tintoretto (1518 circa – 1594), pittrice oltre misura rara, nonostante la precoce fama. Scrive di lei Carlo Ridolfi ne “Le Maraviglie dell'arte” (1648, pp. 71-72) che fu «particolare dote però di Marietta il saper far bene i ritratti [...] Ritrasse inoltre molti gentiluomini, e Dame Venetiane, quali incontravano volentieri il praticar seco, essendo ripiena di tratti gentili, e trattenendole col canto, e col suono. Fece di più il ritratto di Iacopo Strada antiquario di Massimiliano Imperadore, ci sui fece egli dono à quella Maestà, come di opera rara: onde invaghitosi Cesare del di lei valore la fece ricercare al Pade, e la stessa istanza glie ne fece Filipppo II. Rè di Spagna, e l’Arciduca Ferdinando. Ma il Tintoretto più tosto si compiacque di vederla maritata in Mario Augusta Gioieliere, per vederla sempre appresso, amandola teneramente, che di rimanerne privo, benché favorita d Prencipi. Lavorò anco altre opere d’inventione, & alcune ne trasse dal Padre. Fece molti ritratti di orefici amici del marito, alcuni de’ quali habbiamo veduti: ma col mandare delle famiglie, molti se ne sono smarriti».
Tuttavia, la personalità di Marietta resta ad oggi sfuggente, con un solo dipinto assegnatole dalla maggioranza della critica, un “Ritratto femminile”, oggi agli Uffizi (inv. 1890 – 1898), un secondo “Ritratto femminile”, che evidenzia un certo scarto di stile rispetto al primo, conservato alla Galleria Borghese (inv. 093), ed infine un “Ritratto di giovane donna”, al Prado (inv. P000383), di pennellata più sciolta, attribuitole in alternativa al padre Jacopo.
Secondo la severa sintesi di Marsel Grosso, la «difficoltà di riconoscere personalità distinte all’interno della bottega paterna ha reso vano qualsiasi sforzo di restituirle una sua coerente fisionomia artistica: la Tintoretta continua a rimanere una pittrice senza opere», così come cadono « nel vuoto tutti i tentativi di riconoscere il suo volto nella pletora di ritratti muliebri attribuiti a Tintoretto o alla bottega» (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88, 2017, s.v.).
In questa prospettiva, la tela in esame esemplifica, per così dire, il problema cardine della ritrattistica veneziana del secondo Cinquecento, cioè il sovrapporsi di autori che operano l’uno a fianco all’altro nelle botteghe o intorno ai modelli di Tiziano, Tintoretto e Veronese.
Nonostante lo stato conservativo, sul piano stilistico una certa similitudine si ravvisa con Cesare Vecellio (1521 –1601), cugino di Tiziano, formatosi alla sua bottega, per esempio osservando la “Primavera” e l'"Inverno", datati da Federico Zeri intorno al 1560-1570 e da Eleonora Zadra intorno al 1590 (E. Zadra, "Le quattro stagioni", pp. 193-197, in Tiziana Conte, a cura di, "Cesare Vecellio 1521 ca. - 1601", Belluno, 2001), conservata a Palazzo Piloni, a Belluno: soprattutto per quanto riguarda la semplificazione formale e la anatomia dei volti, costruita su linee curve. Le forme del volto e il trattamento dei capelli con pennellate curvilinee e parallele che accentuano i punti di luce, in effetti, ritornano assai marcate in molte opere di Cesare, tra cui il "Viaggio a Betlemme" e, per la capigliatura, la figura femminile nelle "Nozze di Cana", nel soffitto della chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta a Lentiai (Belluno), nonché, ancora per il viso, la "Madonna con il Bambino in gloria, San Fabiano, San Sebastiano e il podestà Loredan" della cattedrale di Belluno.
Più distante appare il raffronto con la raffinata materia pittorica di Parrasio Michiel (1516–1578) - anch’egli strettamente legato all’insegnamento di Tiziano e di cui esiste un “Ritratto di Signora”, assai simile nella composizione, oggi presso la Barnes Foundation, Philadelphia (inv. BF837) - e con i dipinti di Andrea Vicentino (1542 circa –1618), a Venezia dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento, dove lavora con Tintoretto, attribuzione che, infatti, la specialista del pittore, Elena Frosio, esclude (comunicazione del 25 settembre 2023). Tra i paragoni possibili, mantiene comunque consistenza il suggerimento di Safarik in favore di Marietta: infatti, il nostro ritratto appare distante dalle tele degli Uffizi e della Borghese, ma mostra una certa affinità di struttura – il volto, gli occhi soprattutto – con il dipinto del Prado, appunto attribuito anche al padre e maestro.
Di qui la assegnazione dell’opera alla bottega di Tintoretto.
Per quanto attiene al soggetto, la composizione si lascia interpretare come una allegoria di “Flora”. Non è escluso però un elemento realistico: la figura è rappresentato a mezzo busto in posa di tre quarti e con un’espressione a tratti allusiva, che designa una gentildonna bionda. A impreziosirne la bellezza un filo di perle stretto alla base del collo e colorati addobbi floreali nell’acconciatura. L’abito poi, riccamente guarnito da un velo che allude alle forme sottostanti, si presenta pretenzioso e complesso nella sua decorazione, con nastri e sete pregiate. Se l’opera appare lontana dai ritratti di posa, non si può escludere che sia omaggio ad un personaggio della storia di Venezia, anche recente, forse Irene di Spilimbergo (1538 –1559), la poetessa e pittrice friulana, allieva di Tiziano e morta a 21 anni, di cui la fama fu subito grandissima benché anche in questo caso non si conosca nessuna opera certa ed un solo ritratto, forse di Gian Paolo Pace, conservato alla National Gallery of Art, di Washington (1560 ca.) ne restituisce le fattezze.
Ringraziamo la Dottoressa Elena Frosio per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
Il “Ritratto di fanciulla” che qui si presenta nella nuda forza della pittura originale, a seguito di una accurata pulizia e non ancora reintegrato, è stato a lungo conservato nella collezione di Eduard A. Safarik (1928-2015), grande conoscitore della pittura veneta, di laguna e d’entroterra, tra Quattrocento e Settecento.
Si possono accennare, per argomento, i suoi contributi sulle vedute londinesi di Canaletto (1961), Sebastiano del Piombo (1963), Veronese (1964, 1968, 1988), il Settecento veneziano nelle collezioni cecoslovacche (1964), Cariani (1972, 1984), Forabosco (1973, 1996), Francesco e Pietro Calzetta (1974), Girolamo e Giulio Campagnola (1974), Mazzoni (1974), Camillo Capelli (1975), Liss (1975), Caprioli (1976), Eismann (1976), Ruschi (1976), Caroto (1977), Negri (1978), Catena (1979), Pallucchini (1981, 1984, 2001), Fetti (1984, 1985, 1990, 1996; di Fetti Safarik ha curato anche il catalogo ragionato nel 1991), la pittura del Seicento a Venezia (1988, 1989, 2003), la natura morta nel Veneto (1989), Tinelli (1990), Johann Kupezky (1964, 1972, 2001).
Safarik riteneva la piccola tela in esame un autoritratto di Marietta Robusti (1554 circa – 1590), figlia di Jacopo Tintoretto (1518 circa – 1594), pittrice oltre misura rara, nonostante la precoce fama. Scrive di lei Carlo Ridolfi ne “Le Maraviglie dell'arte” (1648, pp. 71-72) che fu «particolare dote però di Marietta il saper far bene i ritratti [...] Ritrasse inoltre molti gentiluomini, e Dame Venetiane, quali incontravano volentieri il praticar seco, essendo ripiena di tratti gentili, e trattenendole col canto, e col suono. Fece di più il ritratto di Iacopo Strada antiquario di Massimiliano Imperadore, ci sui fece egli dono à quella Maestà, come di opera rara: onde invaghitosi Cesare del di lei valore la fece ricercare al Pade, e la stessa istanza glie ne fece Filipppo II. Rè di Spagna, e l’Arciduca Ferdinando. Ma il Tintoretto più tosto si compiacque di vederla maritata in Mario Augusta Gioieliere, per vederla sempre appresso, amandola teneramente, che di rimanerne privo, benché favorita d Prencipi. Lavorò anco altre opere d’inventione, & alcune ne trasse dal Padre. Fece molti ritratti di orefici amici del marito, alcuni de’ quali habbiamo veduti: ma col mandare delle famiglie, molti se ne sono smarriti».
Tuttavia, la personalità di Marietta resta ad oggi sfuggente, con un solo dipinto assegnatole dalla maggioranza della critica, un “Ritratto femminile”, oggi agli Uffizi (inv. 1890 – 1898), un secondo “Ritratto femminile”, che evidenzia un certo scarto di stile rispetto al primo, conservato alla Galleria Borghese (inv. 093), ed infine un “Ritratto di giovane donna”, al Prado (inv. P000383), di pennellata più sciolta, attribuitole in alternativa al padre Jacopo.
Secondo la severa sintesi di Marsel Grosso, la «difficoltà di riconoscere personalità distinte all’interno della bottega paterna ha reso vano qualsiasi sforzo di restituirle una sua coerente fisionomia artistica: la Tintoretta continua a rimanere una pittrice senza opere», così come cadono « nel vuoto tutti i tentativi di riconoscere il suo volto nella pletora di ritratti muliebri attribuiti a Tintoretto o alla bottega» (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88, 2017, s.v.).
In questa prospettiva, la tela in esame esemplifica, per così dire, il problema cardine della ritrattistica veneziana del secondo Cinquecento, cioè il sovrapporsi di autori che operano l’uno a fianco all’altro nelle botteghe o intorno ai modelli di Tiziano, Tintoretto e Veronese.
Nonostante lo stato conservativo, sul piano stilistico una certa similitudine si ravvisa con Cesare Vecellio (1521 –1601), cugino di Tiziano, formatosi alla sua bottega, per esempio osservando la “Primavera” e l'"Inverno", datati da Federico Zeri intorno al 1560-1570 e da Eleonora Zadra intorno al 1590 (E. Zadra, "Le quattro stagioni", pp. 193-197, in Tiziana Conte, a cura di, "Cesare Vecellio 1521 ca. - 1601", Belluno, 2001), conservata a Palazzo Piloni, a Belluno: soprattutto per quanto riguarda la semplificazione formale e la anatomia dei volti, costruita su linee curve. Le forme del volto e il trattamento dei capelli con pennellate curvilinee e parallele che accentuano i punti di luce, in effetti, ritornano assai marcate in molte opere di Cesare, tra cui il "Viaggio a Betlemme" e, per la capigliatura, la figura femminile nelle "Nozze di Cana", nel soffitto della chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta a Lentiai (Belluno), nonché, ancora per il viso, la "Madonna con il Bambino in gloria, San Fabiano, San Sebastiano e il podestà Loredan" della cattedrale di Belluno.
Più distante appare il raffronto con la raffinata materia pittorica di Parrasio Michiel (1516–1578) - anch’egli strettamente legato all’insegnamento di Tiziano e di cui esiste un “Ritratto di Signora”, assai simile nella composizione, oggi presso la Barnes Foundation, Philadelphia (inv. BF837) - e con i dipinti di Andrea Vicentino (1542 circa –1618), a Venezia dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento, dove lavora con Tintoretto, attribuzione che, infatti, la specialista del pittore, Elena Frosio, esclude (comunicazione del 25 settembre 2023). Tra i paragoni possibili, mantiene comunque consistenza il suggerimento di Safarik in favore di Marietta: infatti, il nostro ritratto appare distante dalle tele degli Uffizi e della Borghese, ma mostra una certa affinità di struttura – il volto, gli occhi soprattutto – con il dipinto del Prado, appunto attribuito anche al padre e maestro.
Di qui la assegnazione dell’opera alla bottega di Tintoretto.
Per quanto attiene al soggetto, la composizione si lascia interpretare come una allegoria di “Flora”. Non è escluso però un elemento realistico: la figura è rappresentato a mezzo busto in posa di tre quarti e con un’espressione a tratti allusiva, che designa una gentildonna bionda. A impreziosirne la bellezza un filo di perle stretto alla base del collo e colorati addobbi floreali nell’acconciatura. L’abito poi, riccamente guarnito da un velo che allude alle forme sottostanti, si presenta pretenzioso e complesso nella sua decorazione, con nastri e sete pregiate. Se l’opera appare lontana dai ritratti di posa, non si può escludere che sia omaggio ad un personaggio della storia di Venezia, anche recente, forse Irene di Spilimbergo (1538 –1559), la poetessa e pittrice friulana, allieva di Tiziano e morta a 21 anni, di cui la fama fu subito grandissima benché anche in questo caso non si conosca nessuna opera certa ed un solo ritratto, forse di Gian Paolo Pace, conservato alla National Gallery of Art, di Washington (1560 ca.) ne restituisce le fattezze.
Ringraziamo la Dottoressa Elena Frosio per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.
Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.
Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti.
Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA.
Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta.
Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto.
L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.
Olio su tela
50 x 40 cm
Elementi distintivi:
sul telaio, in pennarello nero, «L.K 768 / SAF»; etichetta in carta legata con filo rosso sull’angolo sinistro del verso, in penna nera, «L.K. 768»
Provenienza:
Collezione Safarik, San Michele in Teverina; Collezione Koelliker (settembre 2002)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelo, telaio sostituito)
Condizione superficie: 65% (diffuse cadute di colore, anche nel volto, fondo consunto)
50 x 40 cm
Elementi distintivi:
sul telaio, in pennarello nero, «L.K 768 / SAF»; etichetta in carta legata con filo rosso sull’angolo sinistro del verso, in penna nera, «L.K. 768»
Provenienza:
Collezione Safarik, San Michele in Teverina; Collezione Koelliker (settembre 2002)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelo, telaio sostituito)
Condizione superficie: 65% (diffuse cadute di colore, anche nel volto, fondo consunto)
Nel Cinquecento veneziano il ritratto gode il suo periodo di maggiore diffusione e fortuna, sulla scorta dei capolavori realizzati da grandi maestri come Tiziano, Veronese e Tintoretto.
Il “Ritratto di fanciulla” che qui si presenta nella nuda forza della pittura originale, a seguito di una accurata pulizia e non ancora reintegrato, è stato a lungo conservato nella collezione di Eduard A. Safarik (1928-2015), grande conoscitore della pittura veneta, di laguna e d’entroterra, tra Quattrocento e Settecento.
Si possono accennare, per argomento, i suoi contributi sulle vedute londinesi di Canaletto (1961), Sebastiano del Piombo (1963), Veronese (1964, 1968, 1988), il Settecento veneziano nelle collezioni cecoslovacche (1964), Cariani (1972, 1984), Forabosco (1973, 1996), Francesco e Pietro Calzetta (1974), Girolamo e Giulio Campagnola (1974), Mazzoni (1974), Camillo Capelli (1975), Liss (1975), Caprioli (1976), Eismann (1976), Ruschi (1976), Caroto (1977), Negri (1978), Catena (1979), Pallucchini (1981, 1984, 2001), Fetti (1984, 1985, 1990, 1996; di Fetti Safarik ha curato anche il catalogo ragionato nel 1991), la pittura del Seicento a Venezia (1988, 1989, 2003), la natura morta nel Veneto (1989), Tinelli (1990), Johann Kupezky (1964, 1972, 2001).
Safarik riteneva la piccola tela in esame un autoritratto di Marietta Robusti (1554 circa – 1590), figlia di Jacopo Tintoretto (1518 circa – 1594), pittrice oltre misura rara, nonostante la precoce fama. Scrive di lei Carlo Ridolfi ne “Le Maraviglie dell'arte” (1648, pp. 71-72) che fu «particolare dote però di Marietta il saper far bene i ritratti [...] Ritrasse inoltre molti gentiluomini, e Dame Venetiane, quali incontravano volentieri il praticar seco, essendo ripiena di tratti gentili, e trattenendole col canto, e col suono. Fece di più il ritratto di Iacopo Strada antiquario di Massimiliano Imperadore, ci sui fece egli dono à quella Maestà, come di opera rara: onde invaghitosi Cesare del di lei valore la fece ricercare al Pade, e la stessa istanza glie ne fece Filipppo II. Rè di Spagna, e l’Arciduca Ferdinando. Ma il Tintoretto più tosto si compiacque di vederla maritata in Mario Augusta Gioieliere, per vederla sempre appresso, amandola teneramente, che di rimanerne privo, benché favorita d Prencipi. Lavorò anco altre opere d’inventione, & alcune ne trasse dal Padre. Fece molti ritratti di orefici amici del marito, alcuni de’ quali habbiamo veduti: ma col mandare delle famiglie, molti se ne sono smarriti».
Tuttavia, la personalità di Marietta resta ad oggi sfuggente, con un solo dipinto assegnatole dalla maggioranza della critica, un “Ritratto femminile”, oggi agli Uffizi (inv. 1890 – 1898), un secondo “Ritratto femminile”, che evidenzia un certo scarto di stile rispetto al primo, conservato alla Galleria Borghese (inv. 093), ed infine un “Ritratto di giovane donna”, al Prado (inv. P000383), di pennellata più sciolta, attribuitole in alternativa al padre Jacopo.
Secondo la severa sintesi di Marsel Grosso, la «difficoltà di riconoscere personalità distinte all’interno della bottega paterna ha reso vano qualsiasi sforzo di restituirle una sua coerente fisionomia artistica: la Tintoretta continua a rimanere una pittrice senza opere», così come cadono « nel vuoto tutti i tentativi di riconoscere il suo volto nella pletora di ritratti muliebri attribuiti a Tintoretto o alla bottega» (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88, 2017, s.v.).
In questa prospettiva, la tela in esame esemplifica, per così dire, il problema cardine della ritrattistica veneziana del secondo Cinquecento, cioè il sovrapporsi di autori che operano l’uno a fianco all’altro nelle botteghe o intorno ai modelli di Tiziano, Tintoretto e Veronese.
Nonostante lo stato conservativo, sul piano stilistico una certa similitudine si ravvisa con Cesare Vecellio (1521 –1601), cugino di Tiziano, formatosi alla sua bottega, per esempio osservando la “Primavera” e l'"Inverno", datati da Federico Zeri intorno al 1560-1570 e da Eleonora Zadra intorno al 1590 (E. Zadra, "Le quattro stagioni", pp. 193-197, in Tiziana Conte, a cura di, "Cesare Vecellio 1521 ca. - 1601", Belluno, 2001), conservata a Palazzo Piloni, a Belluno: soprattutto per quanto riguarda la semplificazione formale e la anatomia dei volti, costruita su linee curve. Le forme del volto e il trattamento dei capelli con pennellate curvilinee e parallele che accentuano i punti di luce, in effetti, ritornano assai marcate in molte opere di Cesare, tra cui il "Viaggio a Betlemme" e, per la capigliatura, la figura femminile nelle "Nozze di Cana", nel soffitto della chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta a Lentiai (Belluno), nonché, ancora per il viso, la "Madonna con il Bambino in gloria, San Fabiano, San Sebastiano e il podestà Loredan" della cattedrale di Belluno.
Più distante appare il raffronto con la raffinata materia pittorica di Parrasio Michiel (1516–1578) - anch’egli strettamente legato all’insegnamento di Tiziano e di cui esiste un “Ritratto di Signora”, assai simile nella composizione, oggi presso la Barnes Foundation, Philadelphia (inv. BF837) - e con i dipinti di Andrea Vicentino (1542 circa –1618), a Venezia dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento, dove lavora con Tintoretto, attribuzione che, infatti, la specialista del pittore, Elena Frosio, esclude (comunicazione del 25 settembre 2023). Tra i paragoni possibili, mantiene comunque consistenza il suggerimento di Safarik in favore di Marietta: infatti, il nostro ritratto appare distante dalle tele degli Uffizi e della Borghese, ma mostra una certa affinità di struttura – il volto, gli occhi soprattutto – con il dipinto del Prado, appunto attribuito anche al padre e maestro.
Di qui la assegnazione dell’opera alla bottega di Tintoretto.
Per quanto attiene al soggetto, la composizione si lascia interpretare come una allegoria di “Flora”. Non è escluso però un elemento realistico: la figura è rappresentato a mezzo busto in posa di tre quarti e con un’espressione a tratti allusiva, che designa una gentildonna bionda. A impreziosirne la bellezza un filo di perle stretto alla base del collo e colorati addobbi floreali nell’acconciatura. L’abito poi, riccamente guarnito da un velo che allude alle forme sottostanti, si presenta pretenzioso e complesso nella sua decorazione, con nastri e sete pregiate. Se l’opera appare lontana dai ritratti di posa, non si può escludere che sia omaggio ad un personaggio della storia di Venezia, anche recente, forse Irene di Spilimbergo (1538 –1559), la poetessa e pittrice friulana, allieva di Tiziano e morta a 21 anni, di cui la fama fu subito grandissima benché anche in questo caso non si conosca nessuna opera certa ed un solo ritratto, forse di Gian Paolo Pace, conservato alla National Gallery of Art, di Washington (1560 ca.) ne restituisce le fattezze.
Ringraziamo la Dottoressa Elena Frosio per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
Il “Ritratto di fanciulla” che qui si presenta nella nuda forza della pittura originale, a seguito di una accurata pulizia e non ancora reintegrato, è stato a lungo conservato nella collezione di Eduard A. Safarik (1928-2015), grande conoscitore della pittura veneta, di laguna e d’entroterra, tra Quattrocento e Settecento.
Si possono accennare, per argomento, i suoi contributi sulle vedute londinesi di Canaletto (1961), Sebastiano del Piombo (1963), Veronese (1964, 1968, 1988), il Settecento veneziano nelle collezioni cecoslovacche (1964), Cariani (1972, 1984), Forabosco (1973, 1996), Francesco e Pietro Calzetta (1974), Girolamo e Giulio Campagnola (1974), Mazzoni (1974), Camillo Capelli (1975), Liss (1975), Caprioli (1976), Eismann (1976), Ruschi (1976), Caroto (1977), Negri (1978), Catena (1979), Pallucchini (1981, 1984, 2001), Fetti (1984, 1985, 1990, 1996; di Fetti Safarik ha curato anche il catalogo ragionato nel 1991), la pittura del Seicento a Venezia (1988, 1989, 2003), la natura morta nel Veneto (1989), Tinelli (1990), Johann Kupezky (1964, 1972, 2001).
Safarik riteneva la piccola tela in esame un autoritratto di Marietta Robusti (1554 circa – 1590), figlia di Jacopo Tintoretto (1518 circa – 1594), pittrice oltre misura rara, nonostante la precoce fama. Scrive di lei Carlo Ridolfi ne “Le Maraviglie dell'arte” (1648, pp. 71-72) che fu «particolare dote però di Marietta il saper far bene i ritratti [...] Ritrasse inoltre molti gentiluomini, e Dame Venetiane, quali incontravano volentieri il praticar seco, essendo ripiena di tratti gentili, e trattenendole col canto, e col suono. Fece di più il ritratto di Iacopo Strada antiquario di Massimiliano Imperadore, ci sui fece egli dono à quella Maestà, come di opera rara: onde invaghitosi Cesare del di lei valore la fece ricercare al Pade, e la stessa istanza glie ne fece Filipppo II. Rè di Spagna, e l’Arciduca Ferdinando. Ma il Tintoretto più tosto si compiacque di vederla maritata in Mario Augusta Gioieliere, per vederla sempre appresso, amandola teneramente, che di rimanerne privo, benché favorita d Prencipi. Lavorò anco altre opere d’inventione, & alcune ne trasse dal Padre. Fece molti ritratti di orefici amici del marito, alcuni de’ quali habbiamo veduti: ma col mandare delle famiglie, molti se ne sono smarriti».
Tuttavia, la personalità di Marietta resta ad oggi sfuggente, con un solo dipinto assegnatole dalla maggioranza della critica, un “Ritratto femminile”, oggi agli Uffizi (inv. 1890 – 1898), un secondo “Ritratto femminile”, che evidenzia un certo scarto di stile rispetto al primo, conservato alla Galleria Borghese (inv. 093), ed infine un “Ritratto di giovane donna”, al Prado (inv. P000383), di pennellata più sciolta, attribuitole in alternativa al padre Jacopo.
Secondo la severa sintesi di Marsel Grosso, la «difficoltà di riconoscere personalità distinte all’interno della bottega paterna ha reso vano qualsiasi sforzo di restituirle una sua coerente fisionomia artistica: la Tintoretta continua a rimanere una pittrice senza opere», così come cadono « nel vuoto tutti i tentativi di riconoscere il suo volto nella pletora di ritratti muliebri attribuiti a Tintoretto o alla bottega» (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88, 2017, s.v.).
In questa prospettiva, la tela in esame esemplifica, per così dire, il problema cardine della ritrattistica veneziana del secondo Cinquecento, cioè il sovrapporsi di autori che operano l’uno a fianco all’altro nelle botteghe o intorno ai modelli di Tiziano, Tintoretto e Veronese.
Nonostante lo stato conservativo, sul piano stilistico una certa similitudine si ravvisa con Cesare Vecellio (1521 –1601), cugino di Tiziano, formatosi alla sua bottega, per esempio osservando la “Primavera” e l'"Inverno", datati da Federico Zeri intorno al 1560-1570 e da Eleonora Zadra intorno al 1590 (E. Zadra, "Le quattro stagioni", pp. 193-197, in Tiziana Conte, a cura di, "Cesare Vecellio 1521 ca. - 1601", Belluno, 2001), conservata a Palazzo Piloni, a Belluno: soprattutto per quanto riguarda la semplificazione formale e la anatomia dei volti, costruita su linee curve. Le forme del volto e il trattamento dei capelli con pennellate curvilinee e parallele che accentuano i punti di luce, in effetti, ritornano assai marcate in molte opere di Cesare, tra cui il "Viaggio a Betlemme" e, per la capigliatura, la figura femminile nelle "Nozze di Cana", nel soffitto della chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta a Lentiai (Belluno), nonché, ancora per il viso, la "Madonna con il Bambino in gloria, San Fabiano, San Sebastiano e il podestà Loredan" della cattedrale di Belluno.
Più distante appare il raffronto con la raffinata materia pittorica di Parrasio Michiel (1516–1578) - anch’egli strettamente legato all’insegnamento di Tiziano e di cui esiste un “Ritratto di Signora”, assai simile nella composizione, oggi presso la Barnes Foundation, Philadelphia (inv. BF837) - e con i dipinti di Andrea Vicentino (1542 circa –1618), a Venezia dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento, dove lavora con Tintoretto, attribuzione che, infatti, la specialista del pittore, Elena Frosio, esclude (comunicazione del 25 settembre 2023). Tra i paragoni possibili, mantiene comunque consistenza il suggerimento di Safarik in favore di Marietta: infatti, il nostro ritratto appare distante dalle tele degli Uffizi e della Borghese, ma mostra una certa affinità di struttura – il volto, gli occhi soprattutto – con il dipinto del Prado, appunto attribuito anche al padre e maestro.
Di qui la assegnazione dell’opera alla bottega di Tintoretto.
Per quanto attiene al soggetto, la composizione si lascia interpretare come una allegoria di “Flora”. Non è escluso però un elemento realistico: la figura è rappresentato a mezzo busto in posa di tre quarti e con un’espressione a tratti allusiva, che designa una gentildonna bionda. A impreziosirne la bellezza un filo di perle stretto alla base del collo e colorati addobbi floreali nell’acconciatura. L’abito poi, riccamente guarnito da un velo che allude alle forme sottostanti, si presenta pretenzioso e complesso nella sua decorazione, con nastri e sete pregiate. Se l’opera appare lontana dai ritratti di posa, non si può escludere che sia omaggio ad un personaggio della storia di Venezia, anche recente, forse Irene di Spilimbergo (1538 –1559), la poetessa e pittrice friulana, allieva di Tiziano e morta a 21 anni, di cui la fama fu subito grandissima benché anche in questo caso non si conosca nessuna opera certa ed un solo ritratto, forse di Gian Paolo Pace, conservato alla National Gallery of Art, di Washington (1560 ca.) ne restituisce le fattezze.
Ringraziamo la Dottoressa Elena Frosio per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
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