Lotti Bonino

Lot 284

Francesco de’ Maineri (1460 – 1509)

Testa del Battista, 1502-1508 circa

La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €35000 - €45000
Lotto aggiudicato a € 29000.00
Olio su tavola
31 x 39,5 cm

Firma:
sul margine del piatto, alcuni segni incisi a colore fresco «III» «S.L.L.F.» (?) «IIII» «T T T M IIIII» (?)

Altre iscrizioni:
al retro della tavola in basso capovolto, in inchiostro nero, «IOs: PITE. LEODI»

Elementi distintivi:
al verso sulla cornice in alto in pennarello nero «LK 22» poi cassato in pennarello rosso e corretto in «L.K. 251»; sulla tavola in pennarello nero «N°22 [cassato e di difficile interpretazione]», in pennarello rosso «LK 251»

Provenienza:
Ercole I d'Este, duca di Ferrara (?; “quadro cum la testa de S. Zoane bat.ta”); Collezione Gallarati Scotti, Milano (?); Collezione Giorgio Baratti, Milano; Collezione Koelliker (marzo 2001)

Bibliografia :
A. Venturi, “Gian Francesco de’ Maineri pittore”, “Archivio Storico dell’Arte”, I, 1888, pp. 88-89; L. Cogliati Arano, "Andrea Solario", Milano, 1965, fig. 40; I. La Costa, Scheda n. 11, in V. Sgarbi, a cura di, "Il male. Esercizi di pittura crudele", catalogo della mostra (Torino, Palazzina di Caccia di Stupinigi), Milano 2005, pp. 69 (ill.), 314, (Andrea Solario); M. Bacchi, Scheda n. 48, in M. Pulini e M. Abati, a cura di, "La croce, la testa, il piatto. Storie di San Giovanni Battista", catalogo della mostra (Cesena, Galleria Comunale d‘Arte-Biblioteca Malatestiana), Cesena, 2010, pp. 208-209

Esposizioni:
V. Sgarbi, a cura di, "Il male. Esercizi di pittura crudele", Torino, Palazzina di Caccia di Stupinigi, Milano 2005 (Andrea Solario); M. Pulini e M. Abati, a cura di, "La croce, la testa, il piatto. Storie di San Giovanni Battista", Cesena, Galleria Comunale d‘Arte-Biblioteca Malatestiana, Cesena, 2010 (come Maineri)

Certificati:
Scheda di Andrea Donati del 22 dicembre 2023 (Maineri, attribuito a)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 90% (retro tavola non lisciato e recante i segni del taglio)
Condizione superficie: 90% (piccole abrasioni e ritocchi anche nei capelli e nello sfondo nero)

Di grande devozione godette nel Medioevo la reliquia della testa mozzata di San Giovanni Battista. «Sparse in tutta l’Europa esistevano una dozzina o più di teste del Battista, sacre reliquie che molte chiese si contendevano [...] Sugli altari se ne collocavano delle riproduzioni tridimensionali per commemorare la decapitazione del santo, prefigurante la Passione di Cristo [...] I poteri terapeutici attribuiti alla reliquia spiegano l’enorme popolarità ch’essa ebbe nel Medioevo» (David Alan Brown, “Andrea Solario”, Milano, 1987, p. 161). Fra le versioni esistenti, le più prestigiose sono quella conservata nella Basilica di San Silvestro, perciò chiamata “in capite”, a Roma, «traslata durante il pontificato di Innocenzo II (1130-1143) e portata in processione fino al 1411 e quella nella cattedrale di Amiens, secondo la tradizione condotta da Costantinopoli durante la Quarta Crociata» (Bacchi 2010, p. 208). «Come puntualizza Panofsky (1962) “nel corso dei secoli XIV e XV il bacile con la testa del Battista era divenuto un’immagine devozionale a se stante, molto popolare nei paesi settentrionali e nell’Italia del Nord”, dove entrò a far parte del repertorio figurativo per la prima volta con Giovanni Bellini (“Testa del Battista”, 1465-1470 ca, Pesaro, Musei Civici, [alternativamente attribuita a Marco Zoppo]) per poi essere ripresa dai pittori cosiddetti leonardeschi, decretandone la fortuna per tutto il secolo corrente» (Bacchi 2010, p. 208).
L’invenzione del prototipo pittorico, con la testa del Battista poggiata sul piatto, è oggetto di discussione critica. Al Louvre è conservato un disegno, apparentemente preparatorio: «si tratta infatti di uno studio molto accurato, eseguito ad acquerello, carboncino e certo copiato dal vero; in ogni caso di tale impressionante precisione da rivaleggiare con quella di una fotografia». Suida aveva ipotizzato «una presunta opera perduta di Leonardo», ma a parere della maggior parte degli specialisti l’invenzione va accreditata ad Andrea Solario (Brown 1987, p. 161), di cui esiste una tavola conservata nello stesso museo e datata 1507, realizzata per Georges d’Amboise (1460-1510). Ritorna sul tema una replica anonima, oggi alla National Gallery di Londra, in stretta relazione con la famiglia Amboise (è infatti datata 11 febbraio 1511, giorno della morte del governatore di Milano Charles II d’Amboise, nipote del cardinale) ed al Solario è stata ascritta anche la tavola ora in esame, proveniente dalla collezione Koelliker (La Costa 2005, scheda 11, p. 314): «Nel dipinto Koelliker, dunque, dettagli come le palpebre socchiuse, le pupille rivoltate, la bocca aperta in una smorfia, i capelli scompigliati e lo scorcio prospettico volutamente impietoso nel sottolineare l’approssimativa anatomia della sezione cervicale, sono espedienti sfruttati dall’artista per suscitare una risposta empatica nell’osservatore, che nell’orrore deve riscoprire la pietà e la venerazione per il santo».
La figura di Georges d’Amboise, cardinale, governatore francese del Ducato di Milano (1499-1500), principale consigliere di Luigi XII e mecenate francese, sembra centrale nello specializzarsi della nostra iconografia. Come scrive David Alan Brown (1987, p. 161), è probabile che il dipinto del Louvre sia stato realizzato a Milano e poi portato da lui in Francia: «il supporto è infatti costituito da tela fina incollata su tavola di pioppo, una essenza comunemente usata in Italia, ma non nel nord Europa». L’ipotesi che il Solario abbia inventato questa iconografia per il Cardinal d’Amboise non si basa solo sul fatto che il dipinto è datato all’anno «in cui l’artista entrò al suo servizio, ma anche su quello che il cardinale aveva una speciale devozione per San Giovanni, la cui immagine compare nel suo sigillo ufficiale e si ripete spesso» nel castello di Gaillon, proprietà e residenza estiva dell’arcivescovo di Rouen, carica ricoperta dal prelato tra il 1495 e il 1510.
«Molto probabilmente, dunque, è proprio il patrono di Andrea [Solario] che contempla la testa mozzata: [...] la minuscola figura di d’Amboise riflessa nel piatto attesta la sua fede, nel momento in cui invoca i miracolosi poteri terapeutici della reliquia, che secondo la credenza popolare curava ogni genere di malattie. [...] Georges d’Amboise soffriva gravemente di febbre, coliche e gotta. Le sue condizioni peggiorarono mentre il Solario era al suo servizio, e pochi mesi dopo il ritorno dell’artista in Italia egli era già morto; gli ultimi anni della sua vita furono segnati da una frenetica attività, interrotta da periodi di forzato riposo. Egli sembrava trovare a Gaillon un rifugio spirituale dove poter interrogare la propria coscienza, lontano dagli affari di stato e dalle cerimonie di corte; ed il Solario eseguì per lui una straordinaria serie di immagini devozionali a mezzo busto, a cominciare dalla “Testa del Battista”, su cui si basa la sua fama. A queste immagini affascinanti e impressionanti com’erano, d’Amboise rivolgeva le sue preghiere per ottenere la salvezza eterna. È probabile che le piccole tavole del Solario, necessariamente portatili, abbiano spesso accompagnato il cardinale nei suoi viaggi; quando era infermo, o comunque occupato a Gaillon, egli probabilmente ne adornava la biblioteca, dove, come sappiamo, erano esposti i suoi più bei dipinti, insieme ai codici miniati che aveva comperato dalla vedova del re aragonese di Napoli, morto in esilio» (Brown 1987, pp. 163, 165).
Isabella La Costa (2005) richiama una seconda tavola di identico soggetto, del parmense Giovan Francesco Maineri, datata 1508 e conservata alla Pinacoteca di Brera. Proprio Maineri è la seconda, e più persuasiva, ipotesi attributiva per la tavola Koelliker, cui aderiscono Michela Bacchi (2010, in seno ad una mostra curata da Massimo Pulini) e Andrea Donati, in una recente scheda sull’opera (22 dicembre 2023). Il dipinto Koelliker si stacca, infatti, dalle copie francesi «molto esatte (tranne che per l’aggiunta di un’aureola)» ed anche da quelle presumibilmente eseguite a Milano, che, «come la versione di Antonio Solari del 1508 all’Ambrosiana, sono precise per quanto riguarda la testa ma non per il piatto» (Brown 1987, p. 161).
L’immagine realizzata da Maineri – in entrambe le versioni note, quella di Brera e quella Koelliker messa in relazione da Luisa Cogliati Arano (1965, fig. 40) con la collezione ambrosiana dei duchi Gallarati Scotti – è solo superficialmente simile alla tavola del Louvre: essa «espone in primo piano il collo troncato di un Battista dagli occhi aperti. Il santo del Solario trionfa invece serenamente sulla sofferenza e la morte: se non fosse per il suo pallore, potremmo credere che stia solo dormendo» (Brown 1987, p. 162). Maineri, inoltre, è autonomo da Solario «sia nella disposizione della testa sul piatto, volta verso sinistra e non verso destra come nella tavola francese, sia nel punto di vista prescelto, il taglio della ferita è ben visibile non occultato dai capelli o dalla coppa, la descrizione delle vertebre, dei muscoli e delle vene recise dalla decapitazione è precisa e analitica», proprio come avviene nel dipinto Koelliker «con il collo troncato in primo piano, le pupille rovesciate, la traccia dei denti sotto il margine superiore della bocca socchiusa e i capelli scompigliati» (Bacchi 2010, p. 208).
Come ricorda Donati (2023), «nel 1502 Maineri dipinse un dipinto di analogo soggetto per il duca Ercole I d’Este: “quadro cum la testa de S. Zoane bat.ta” (Adolfo Venturi, “Gian Francesco de’ Maineri pittore”, “Archivio Storico dell’Arte”, I, 1888, pp. 88-89). Ciò consente di ipotizzare che Maineri sia l’inventore del fortunato prototipo, importato in ambito milanese da Solario, o quantomeno che la versione del Louvre, data a Solario, e quella di Brera, data a Maineri, rappresentino invenzioni autonome (Bacchi 2010, p. 208). Su questo presupposto, come ricorda Bacchi, già Silla Zamboni (“Pittori di Ercole I d’Este”, Cinisello Balsamo, 1975) aveva collegato la tavola di Brera con la committenza estense, posizione cui concorre anche la tavola Koelliker, al retro della quale – secondo l’interpretazione di Gianluca Poldi (relazione dell’ottobre 2023, scheda 1) si legge una «scritta in nero a pennello al verso, antica (forse originale) e capovolta rispetto all’orientamento dell’effigie dipinta, che recita “IOs : PITE . LEODI .” dove IOs può essere abbreviazione di IOHANNES e riferirsi sia al santo ritratto, sia eventualmente al committente o all’autore.» Deve essere considerata invece una copia la analoga “Testa” attribuita al Maineri e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Secondo Andrea Donati, «Il dipinto Koelliker, già Gallarati Scotti, è un’evoluzione di quello braidense, firmato da Giovan Francesco Maineri, e, per la sua altissima qualità, si afferma come autentica variante d’autore. Viene eliminata innanzitutto l’aureola, abbassata la prospettiva dello sguardo, sostituito il marmo policromo con un piano di appoggio monocromo, impreziosito il piede del piatto di metallo con una fascia cesellata in oro, eliminato il sangue in eccedenza, ridotte le escrescenze carnali e venose al solo taglio della testa, espanse le ciocche oltre il bordo del piatto. Le due versioni avevano in comune il supporto ligneo, prima che il dipinto braidense venisse trasportato su tela, e quasi le stesse dimensioni, giacché la versione Gallarati Scotti è inferiore in altezza di soli tre centimetri. Quest’ultima si presenta come un ulteriore affondo creativo di un’immagine già profondamente scandagliata dal punto di vista tecnico e iconografico. Il crudo verismo viene sublimato in una sintesi virtuosistica degli elementi figurativi, trattati con tecnica miniaturistica e con raffinato illusionismo ottico».
Lo studioso richiama inoltre un documento del 1540, già pubblicato da Luisa Cogliati Arano nel 1966 (“Andrea Solario”, Milano, pp. 113-115), che attesta un legame di parentela tra i Solari e i Maineri, ancorché a quella data i due protagonisti dell’invenzione figurativa fossero ormai deceduti da decenni.
La tavola è stata oggetto di investigazioni scientifiche a cura di Gianluca Poldi nell’ottobre 2023, in particolare riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.), infrarosso in falso colore. E così emerso che l’opera «è dipinta su una tavola di legno chiaro, forse pioppo, curiosamente non lisciata al retro, dove presenta segni della sega o del mezzo da taglio più che della sgorbia: fatto raro, che potrebbe indicare, anche per lo stato di pulizia del legno, che fosse poi inserita in una struttura con il fondo chiuso, rendendo il verso della tavola invisibile», fatto tanto più rilevante poiché il verso ospita la già ricordata iscrizione «IOs : PITE . LEODI .». Interessante osservare che il disegno sottostante (underdrawing) deve essere alquanto sottile, in quanto, trasparente all’IR, che ha comunque consentito di leggere la decorazione quasi illeggibile del piede dell'alzata.
Come noto il tema è sviluppato anche in un altro dipinto proveniente dalla collezione Gallarati Scotti, la tavola con “Salomè con la testa del Battista” di Giovanni Agostino da Lodi, datata intorno al 1512-1515, che quindi seguirebbe a stretto giro le sperimentazioni Maineri-Solario (Cristina Quattrini, scheda n. 44, in Mauro Natale, a cura di, “Bramantino. L’arte nuova del Rinascimento lombardo”, catalogo della mostra - Museo Cantonale d’Arte, Lugano, 2014-2015 - Milano, 2014, pp. 266-269).
Se si considerano in successione le poche date certe delle opere sul tema (1502: fonte estense su Maineri; 1507: Andrea Solario, tavola del Louvre; 1508: Antonio Solario, tavola di Brera, e Maineri, tavola di Brera) e si pone come limite temporale il 1509, data del più polito ritratto di Alessandro Faruffin, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, oltre la quale non è attestata la attività di Maineri, emerge per la tavola in esame una datazione di primo Cinquecento, tra il 1502 e il 1508. Sul bordo del piatto, solo sulla parte sinistra, l'autore ha peraltro inciso nel colore fresco alcuni segni, raccolti in quattro gruppi, forse da mettere in relazione con una firma ed una data comuffate. Nel secondo gruppo si riconosce chiaramente una «F», abbreviazione forse di «Fecit», mentre nell'ultimo gruppo, scarsamente leggibile, pare scorgersi in coda il numero 5 («IIIII»), preceduto da altri segni.
Oltre questo limite si apre l’ulteriore e incontrollata fortuna del tema, fortunatissimo, di cui sono prova la replica anonima in morte di Charles II d’Amboise (1511), oggi anna National Gallery di Londra, la tavola dello Pseudo-Boccaccino (1512-1515), in cui l’idea è inserita in un contesto figurativo innovato, e infine la copia della Pinacoteca Nazionale di Ferrara. L'immagine del modello di Maineri è peraltro curiosamente ripresa in un vessillo processionale piemontese del 1847, relativo al comune di Chieri, forse in qualche modo connesso con i Gallarati Scotti, che avevano anche titolo di Marchesi di Cerano ed erano legati alla corte di Torino.

Si ringraziano i Dottori Andrea Donati e Gianluca Poldi per il prezioso supporto dato alla catalogazione dell’opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.
Olio su tavola
31 x 39,5 cm

Firma:
sul margine del piatto, alcuni segni incisi a colore fresco «III» «S.L.L.F.» (?) «IIII» «T T T M IIIII» (?)

Altre iscrizioni:
al retro della tavola in basso capovolto, in inchiostro nero, «IOs: PITE. LEODI»

Elementi distintivi:
al verso sulla cornice in alto in pennarello nero «LK 22» poi cassato in pennarello rosso e corretto in «L.K. 251»; sulla tavola in pennarello nero «N°22 [cassato e di difficile interpretazione]», in pennarello rosso «LK 251»

Provenienza:
Ercole I d'Este, duca di Ferrara (?; “quadro cum la testa de S. Zoane bat.ta”); Collezione Gallarati Scotti, Milano (?); Collezione Giorgio Baratti, Milano; Collezione Koelliker (marzo 2001)

Bibliografia :
A. Venturi, “Gian Francesco de’ Maineri pittore”, “Archivio Storico dell’Arte”, I, 1888, pp. 88-89; L. Cogliati Arano, "Andrea Solario", Milano, 1965, fig. 40; I. La Costa, Scheda n. 11, in V. Sgarbi, a cura di, "Il male. Esercizi di pittura crudele", catalogo della mostra (Torino, Palazzina di Caccia di Stupinigi), Milano 2005, pp. 69 (ill.), 314, (Andrea Solario); M. Bacchi, Scheda n. 48, in M. Pulini e M. Abati, a cura di, "La croce, la testa, il piatto. Storie di San Giovanni Battista", catalogo della mostra (Cesena, Galleria Comunale d‘Arte-Biblioteca Malatestiana), Cesena, 2010, pp. 208-209

Esposizioni:
V. Sgarbi, a cura di, "Il male. Esercizi di pittura crudele", Torino, Palazzina di Caccia di Stupinigi, Milano 2005 (Andrea Solario); M. Pulini e M. Abati, a cura di, "La croce, la testa, il piatto. Storie di San Giovanni Battista", Cesena, Galleria Comunale d‘Arte-Biblioteca Malatestiana, Cesena, 2010 (come Maineri)

Certificati:
Scheda di Andrea Donati del 22 dicembre 2023 (Maineri, attribuito a)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 90% (retro tavola non lisciato e recante i segni del taglio)
Condizione superficie: 90% (piccole abrasioni e ritocchi anche nei capelli e nello sfondo nero)

Di grande devozione godette nel Medioevo la reliquia della testa mozzata di San Giovanni Battista. «Sparse in tutta l’Europa esistevano una dozzina o più di teste del Battista, sacre reliquie che molte chiese si contendevano [...] Sugli altari se ne collocavano delle riproduzioni tridimensionali per commemorare la decapitazione del santo, prefigurante la Passione di Cristo [...] I poteri terapeutici attribuiti alla reliquia spiegano l’enorme popolarità ch’essa ebbe nel Medioevo» (David Alan Brown, “Andrea Solario”, Milano, 1987, p. 161). Fra le versioni esistenti, le più prestigiose sono quella conservata nella Basilica di San Silvestro, perciò chiamata “in capite”, a Roma, «traslata durante il pontificato di Innocenzo II (1130-1143) e portata in processione fino al 1411 e quella nella cattedrale di Amiens, secondo la tradizione condotta da Costantinopoli durante la Quarta Crociata» (Bacchi 2010, p. 208). «Come puntualizza Panofsky (1962) “nel corso dei secoli XIV e XV il bacile con la testa del Battista era divenuto un’immagine devozionale a se stante, molto popolare nei paesi settentrionali e nell’Italia del Nord”, dove entrò a far parte del repertorio figurativo per la prima volta con Giovanni Bellini (“Testa del Battista”, 1465-1470 ca, Pesaro, Musei Civici, [alternativamente attribuita a Marco Zoppo]) per poi essere ripresa dai pittori cosiddetti leonardeschi, decretandone la fortuna per tutto il secolo corrente» (Bacchi 2010, p. 208).
L’invenzione del prototipo pittorico, con la testa del Battista poggiata sul piatto, è oggetto di discussione critica. Al Louvre è conservato un disegno, apparentemente preparatorio: «si tratta infatti di uno studio molto accurato, eseguito ad acquerello, carboncino e certo copiato dal vero; in ogni caso di tale impressionante precisione da rivaleggiare con quella di una fotografia». Suida aveva ipotizzato «una presunta opera perduta di Leonardo», ma a parere della maggior parte degli specialisti l’invenzione va accreditata ad Andrea Solario (Brown 1987, p. 161), di cui esiste una tavola conservata nello stesso museo e datata 1507, realizzata per Georges d’Amboise (1460-1510). Ritorna sul tema una replica anonima, oggi alla National Gallery di Londra, in stretta relazione con la famiglia Amboise (è infatti datata 11 febbraio 1511, giorno della morte del governatore di Milano Charles II d’Amboise, nipote del cardinale) ed al Solario è stata ascritta anche la tavola ora in esame, proveniente dalla collezione Koelliker (La Costa 2005, scheda 11, p. 314): «Nel dipinto Koelliker, dunque, dettagli come le palpebre socchiuse, le pupille rivoltate, la bocca aperta in una smorfia, i capelli scompigliati e lo scorcio prospettico volutamente impietoso nel sottolineare l’approssimativa anatomia della sezione cervicale, sono espedienti sfruttati dall’artista per suscitare una risposta empatica nell’osservatore, che nell’orrore deve riscoprire la pietà e la venerazione per il santo».
La figura di Georges d’Amboise, cardinale, governatore francese del Ducato di Milano (1499-1500), principale consigliere di Luigi XII e mecenate francese, sembra centrale nello specializzarsi della nostra iconografia. Come scrive David Alan Brown (1987, p. 161), è probabile che il dipinto del Louvre sia stato realizzato a Milano e poi portato da lui in Francia: «il supporto è infatti costituito da tela fina incollata su tavola di pioppo, una essenza comunemente usata in Italia, ma non nel nord Europa». L’ipotesi che il Solario abbia inventato questa iconografia per il Cardinal d’Amboise non si basa solo sul fatto che il dipinto è datato all’anno «in cui l’artista entrò al suo servizio, ma anche su quello che il cardinale aveva una speciale devozione per San Giovanni, la cui immagine compare nel suo sigillo ufficiale e si ripete spesso» nel castello di Gaillon, proprietà e residenza estiva dell’arcivescovo di Rouen, carica ricoperta dal prelato tra il 1495 e il 1510.
«Molto probabilmente, dunque, è proprio il patrono di Andrea [Solario] che contempla la testa mozzata: [...] la minuscola figura di d’Amboise riflessa nel piatto attesta la sua fede, nel momento in cui invoca i miracolosi poteri terapeutici della reliquia, che secondo la credenza popolare curava ogni genere di malattie. [...] Georges d’Amboise soffriva gravemente di febbre, coliche e gotta. Le sue condizioni peggiorarono mentre il Solario era al suo servizio, e pochi mesi dopo il ritorno dell’artista in Italia egli era già morto; gli ultimi anni della sua vita furono segnati da una frenetica attività, interrotta da periodi di forzato riposo. Egli sembrava trovare a Gaillon un rifugio spirituale dove poter interrogare la propria coscienza, lontano dagli affari di stato e dalle cerimonie di corte; ed il Solario eseguì per lui una straordinaria serie di immagini devozionali a mezzo busto, a cominciare dalla “Testa del Battista”, su cui si basa la sua fama. A queste immagini affascinanti e impressionanti com’erano, d’Amboise rivolgeva le sue preghiere per ottenere la salvezza eterna. È probabile che le piccole tavole del Solario, necessariamente portatili, abbiano spesso accompagnato il cardinale nei suoi viaggi; quando era infermo, o comunque occupato a Gaillon, egli probabilmente ne adornava la biblioteca, dove, come sappiamo, erano esposti i suoi più bei dipinti, insieme ai codici miniati che aveva comperato dalla vedova del re aragonese di Napoli, morto in esilio» (Brown 1987, pp. 163, 165).
Isabella La Costa (2005) richiama una seconda tavola di identico soggetto, del parmense Giovan Francesco Maineri, datata 1508 e conservata alla Pinacoteca di Brera. Proprio Maineri è la seconda, e più persuasiva, ipotesi attributiva per la tavola Koelliker, cui aderiscono Michela Bacchi (2010, in seno ad una mostra curata da Massimo Pulini) e Andrea Donati, in una recente scheda sull’opera (22 dicembre 2023). Il dipinto Koelliker si stacca, infatti, dalle copie francesi «molto esatte (tranne che per l’aggiunta di un’aureola)» ed anche da quelle presumibilmente eseguite a Milano, che, «come la versione di Antonio Solari del 1508 all’Ambrosiana, sono precise per quanto riguarda la testa ma non per il piatto» (Brown 1987, p. 161).
L’immagine realizzata da Maineri – in entrambe le versioni note, quella di Brera e quella Koelliker messa in relazione da Luisa Cogliati Arano (1965, fig. 40) con la collezione ambrosiana dei duchi Gallarati Scotti – è solo superficialmente simile alla tavola del Louvre: essa «espone in primo piano il collo troncato di un Battista dagli occhi aperti. Il santo del Solario trionfa invece serenamente sulla sofferenza e la morte: se non fosse per il suo pallore, potremmo credere che stia solo dormendo» (Brown 1987, p. 162). Maineri, inoltre, è autonomo da Solario «sia nella disposizione della testa sul piatto, volta verso sinistra e non verso destra come nella tavola francese, sia nel punto di vista prescelto, il taglio della ferita è ben visibile non occultato dai capelli o dalla coppa, la descrizione delle vertebre, dei muscoli e delle vene recise dalla decapitazione è precisa e analitica», proprio come avviene nel dipinto Koelliker «con il collo troncato in primo piano, le pupille rovesciate, la traccia dei denti sotto il margine superiore della bocca socchiusa e i capelli scompigliati» (Bacchi 2010, p. 208).
Come ricorda Donati (2023), «nel 1502 Maineri dipinse un dipinto di analogo soggetto per il duca Ercole I d’Este: “quadro cum la testa de S. Zoane bat.ta” (Adolfo Venturi, “Gian Francesco de’ Maineri pittore”, “Archivio Storico dell’Arte”, I, 1888, pp. 88-89). Ciò consente di ipotizzare che Maineri sia l’inventore del fortunato prototipo, importato in ambito milanese da Solario, o quantomeno che la versione del Louvre, data a Solario, e quella di Brera, data a Maineri, rappresentino invenzioni autonome (Bacchi 2010, p. 208). Su questo presupposto, come ricorda Bacchi, già Silla Zamboni (“Pittori di Ercole I d’Este”, Cinisello Balsamo, 1975) aveva collegato la tavola di Brera con la committenza estense, posizione cui concorre anche la tavola Koelliker, al retro della quale – secondo l’interpretazione di Gianluca Poldi (relazione dell’ottobre 2023, scheda 1) si legge una «scritta in nero a pennello al verso, antica (forse originale) e capovolta rispetto all’orientamento dell’effigie dipinta, che recita “IOs : PITE . LEODI .” dove IOs può essere abbreviazione di IOHANNES e riferirsi sia al santo ritratto, sia eventualmente al committente o all’autore.» Deve essere considerata invece una copia la analoga “Testa” attribuita al Maineri e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Secondo Andrea Donati, «Il dipinto Koelliker, già Gallarati Scotti, è un’evoluzione di quello braidense, firmato da Giovan Francesco Maineri, e, per la sua altissima qualità, si afferma come autentica variante d’autore. Viene eliminata innanzitutto l’aureola, abbassata la prospettiva dello sguardo, sostituito il marmo policromo con un piano di appoggio monocromo, impreziosito il piede del piatto di metallo con una fascia cesellata in oro, eliminato il sangue in eccedenza, ridotte le escrescenze carnali e venose al solo taglio della testa, espanse le ciocche oltre il bordo del piatto. Le due versioni avevano in comune il supporto ligneo, prima che il dipinto braidense venisse trasportato su tela, e quasi le stesse dimensioni, giacché la versione Gallarati Scotti è inferiore in altezza di soli tre centimetri. Quest’ultima si presenta come un ulteriore affondo creativo di un’immagine già profondamente scandagliata dal punto di vista tecnico e iconografico. Il crudo verismo viene sublimato in una sintesi virtuosistica degli elementi figurativi, trattati con tecnica miniaturistica e con raffinato illusionismo ottico».
Lo studioso richiama inoltre un documento del 1540, già pubblicato da Luisa Cogliati Arano nel 1966 (“Andrea Solario”, Milano, pp. 113-115), che attesta un legame di parentela tra i Solari e i Maineri, ancorché a quella data i due protagonisti dell’invenzione figurativa fossero ormai deceduti da decenni.
La tavola è stata oggetto di investigazioni scientifiche a cura di Gianluca Poldi nell’ottobre 2023, in particolare riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.), infrarosso in falso colore. E così emerso che l’opera «è dipinta su una tavola di legno chiaro, forse pioppo, curiosamente non lisciata al retro, dove presenta segni della sega o del mezzo da taglio più che della sgorbia: fatto raro, che potrebbe indicare, anche per lo stato di pulizia del legno, che fosse poi inserita in una struttura con il fondo chiuso, rendendo il verso della tavola invisibile», fatto tanto più rilevante poiché il verso ospita la già ricordata iscrizione «IOs : PITE . LEODI .». Interessante osservare che il disegno sottostante (underdrawing) deve essere alquanto sottile, in quanto, trasparente all’IR, che ha comunque consentito di leggere la decorazione quasi illeggibile del piede dell'alzata.
Come noto il tema è sviluppato anche in un altro dipinto proveniente dalla collezione Gallarati Scotti, la tavola con “Salomè con la testa del Battista” di Giovanni Agostino da Lodi, datata intorno al 1512-1515, che quindi seguirebbe a stretto giro le sperimentazioni Maineri-Solario (Cristina Quattrini, scheda n. 44, in Mauro Natale, a cura di, “Bramantino. L’arte nuova del Rinascimento lombardo”, catalogo della mostra - Museo Cantonale d’Arte, Lugano, 2014-2015 - Milano, 2014, pp. 266-269).
Se si considerano in successione le poche date certe delle opere sul tema (1502: fonte estense su Maineri; 1507: Andrea Solario, tavola del Louvre; 1508: Antonio Solario, tavola di Brera, e Maineri, tavola di Brera) e si pone come limite temporale il 1509, data del più polito ritratto di Alessandro Faruffin, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, oltre la quale non è attestata la attività di Maineri, emerge per la tavola in esame una datazione di primo Cinquecento, tra il 1502 e il 1508. Sul bordo del piatto, solo sulla parte sinistra, l'autore ha peraltro inciso nel colore fresco alcuni segni, raccolti in quattro gruppi, forse da mettere in relazione con una firma ed una data comuffate. Nel secondo gruppo si riconosce chiaramente una «F», abbreviazione forse di «Fecit», mentre nell'ultimo gruppo, scarsamente leggibile, pare scorgersi in coda il numero 5 («IIIII»), preceduto da altri segni.
Oltre questo limite si apre l’ulteriore e incontrollata fortuna del tema, fortunatissimo, di cui sono prova la replica anonima in morte di Charles II d’Amboise (1511), oggi anna National Gallery di Londra, la tavola dello Pseudo-Boccaccino (1512-1515), in cui l’idea è inserita in un contesto figurativo innovato, e infine la copia della Pinacoteca Nazionale di Ferrara. L'immagine del modello di Maineri è peraltro curiosamente ripresa in un vessillo processionale piemontese del 1847, relativo al comune di Chieri, forse in qualche modo connesso con i Gallarati Scotti, che avevano anche titolo di Marchesi di Cerano ed erano legati alla corte di Torino.

Si ringraziano i Dottori Andrea Donati e Gianluca Poldi per il prezioso supporto dato alla catalogazione dell’opera.
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