Lotti Bonino

Lot 369

Roma. I quarto del XVII secolo

San Carlo Borromeo, 1610-1620 circa

La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €50000 - €70000
Lotto aggiudicato a € 27000.00
Olio su tela
65 x 50 cm

Elementi distintivi:
al recto, nell’angolo inferiore sinistro «256» preceduto da una colonna turrita, con riguardo ad un inventario Colonna; al verso sull’asse superiore del telaio, in pennarello nero, «L.K. 398». I numeri sono cassati in pennarello rosso e seguiti da «LK 0347».

Provenienza:
Collezioni Colonna (Inv. 256); Collezione Uberto Poletti

Certificati:
Scheda di Andrea Donati del 22 dicembre 2023 (Borgianni, attribuito a)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelaiatura; rintelo; probabile sfondamento risarcito al centro)
Condizione superficie: 80% (cadute di colore e ritocchi sparsi; una integrazione di maggiore dimensione in alto a sinistra; vernice protettiva)

L’iconografia di san Carlo Borromeo (1538-1584) è particolarmente diffusa a seguito della sua canonizzazione da parte di papa Paolo V il primo novembre 1610, sebbene la sua influente autorità in materie dottrinali abbia permesso che molte immagini venissero prodotte anche prima di questa data.
Di origini lombarde, Carlo Borromeo fu uno dei maggiori protagonisti della vita religiosa della Roma di secondo Cinquecento. Benefattore e riformatore della Chiesa cattolica, fu nominato arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore. Il legame e la particolare devozione tutta romana per il santo sono dimostrati dalle numerose cappelle e ricche chiese a lui dedicate nella città.
«Racconta il suo primo biografo Francisco Peña in un libretto pubblicato nel 1610, che "si fecero fare in Roma più di sessanta ritratti di S. Carlo grandi a oglio, che si donarono in occasione della canonizzazione alla Santità di Nostro Signore Papa Paolo Quinto a ciascun cardinale et ad altri Prelati, et personaggi grandi” ([...] Marco Gallo, Orazio Borgianni, Roma 1997, p. 71). Ad accaparrarsi una così ghiotta occasione di mercato e quasi a monopolizzare l’immagine del Borromeo concorsero alcuni dei pittori del tempo più affermati sulla piazza di Roma, in particolare Orazio Borgianni e Carlo Saraceni. Il primo è autore della pala d’altare già nella chiesa di Sant’Adriano nel Foro Romano e ora nella casa generalizia dei Padri Mercedari, e della pala nella sacrestia di San Carlo alle Quattro Fontane; il secondo di una pala in San Lorenzo in Lucina e di un’altra nella cappella Albizzi della chiesa dei Servi di Maria a Cesena. L’esistenza di altri quadri, da cavalletto, raffiguranti Borromeo a mezza figura, di mano sia di Saraceni che di Borgianni, conferma ciò che narra Peña, ossia che prima delle pale d’altare, furono create immagini destinate al papa, al collegio cardinalizio e al patriziato romano. Da queste poi se ne fecero altre, tanto per le chiese quanto per la devozione privata e il collezionismo. Ci potremmo dunque trovare di fronte a uno dei primi esemplari di dipinti realizzati in occasione della canonizzazione di san Carlo Borromeo nel 1610 e supporre che anche i Colonna, pur non avendo un cardinale in quel frangente storico, in virtù della loro grandezza e nobiltà avessero ricevuto un quadro del genere» (Andrea Donati, scheda del 22 dicembre 2023).
L’abito cardinalizio e la caratterizzazione fisionomica permettono di non avere dubbi sull’identificazione dell’effigiato. Allo stesso modo la presenza dell’aureola, che ne assicura l’impronta di santità, conferma da datazione successiva al 1610.
All’angolo sinistro in basso si legge il numero di serie 256 preceduto da una colonna sormontata da corona principesca, simbolo che suggerisce una passata proprietà Colonna, che non si può tuttavia ad oggi meglio precisare. Infatti – precisa Patrizia Piergiovanni, direttrice della Galleria Colonna, il numero «non corrisponde a un ritratto nell’inventario fidecommissario ma certamente non possiamo escludere che si trattasse di uno dei tantissimi inventari antichi colonnesi» (comunicazione del 26.09.2023). Come noto, il fedecommesso – ossia il divieto di smembramento e alienazione – che insiste sulla odierna collezione Colonna fu istituito da Aspreno I Colonna Doria, erede per parte materna dei principi di Avella e duchi di Tursi e anche dell’intero fedecommesso dei Colonna di Paliano alla morte dello zio Filippo III scomparso nel 1818 senza eredi maschi (Paolo Carpentieri, “Il ruolo del fedecommesso nella conservazione delle collezioni d’arte”, Aedon, numero 3, 2022, pp. 161). Il dipinto deve quindi essere stato ceduto dai Colonna prima del 1818, allorquando gli era assicurata la piena disponibilità anche del patrimonio artistico.
Sul piano stilistico l’opera è di difficile collocazione, ma il tono generale sembra rimandare ad una personalità formatasi a contatto con Carlo Saraceni (1579 circa-1620) e Orazio Borgianni (1574 –1616), perciò attiva a Roma tra il 1605-1606 (anno del ritorno di Borgianni dalla Spagna) e il 1616. Borgianni e Saraceni risultano precocemente indicati «come guida del movimento caravaggesco, dopo che Caravaggio era precipitosamente fuggito da Roma. Coinvolto in una rissa durante una partita di pallacorda in Campo Marzio, Michelangelo Merisi aveva ucciso Ranuccio Tomassoni. L’omicidio era accaduto il 28 maggio 1606. Il 2 novembre 1606 Baglione accusò Saraceni e Borgianni «aderenti al Caravaggio» di averlo aggredito tramite un sicario. L’assalto sarebbe avvenuto «circa 20 giorni sono» per contrastare, da parte dei caravaggeschi già indicati come tali, l’elezione del nuovo principe dell’Accademia di S. Luca, pilotata da Baglione in qualità di principe uscente» (L. Spezzaferro, “Una testimonianza per gli inizi del caravaggismo”, in “Storia dell’arte”, 1975, n. 23, pp. 53-60).
Massimo Francucci, sulla base di una fotografia ad alta risoluzione definisce il dipinto come «sicuramente italiano, la qualità è molto alta, Saraceni è il nome più vicino, ma non convince pienamente» (comunicazione del 30 ottobre 2023). Ripercorrendo la produzione di Saraceni e di alcuni autori a lui vicini, Donati, nella scheda del 2023, identifica il più probabile autore in Orazio Borgianni: «né lo stile di Saraceni, né quello di Bernardi né quello di Bassetti si addicono al nostro dipinto, che è più vicino ai modi di Borgianni. Poiché quest’ultimo condivide il percorso artistico di Saraceni a Roma dal 1606 in poi e, dopo la fuga di Caravaggio, il suo ruolo diventa sempre più rilevante, non è fuori luogo supporre che abbia adottato lo stesso modello iconografico del compare, dipingendo un quadro da cavalletto che, se non è stato commissionato direttamente da un esponente della famiglia Colonna, potrebbe essere confluito in quella collezione fin dal 1610».
La postura, la torsione del collo, le mani intrecciate, la fisionomia impiegate nella nostra tela ricordano la parte superiore di un dipinto di Saraceni, in collezione privata ma esposto nel 2020 presso la Confraternita San Carlo Borromeo di Lugano, a conclusione delle celebrazioni per i 400 anni dalla fondazione. La soluzione ebbe fortuna, tant'è che venne replicata da Borgianni in una versione limitata al busto resa nota da Andrea Donati nel 2011 ("Per Francesco Parone milanese", "Valori Tattili. Quesiti Caravaggeschi 1", 2011, pp. 81-91; Rita Randolfi, in "Carlo Saraceni", a cura di M. G. Aurigemma, Milano 2014, pp. 290-292, n. 54). La condotta pittorica del volto – così come l’adesione allo stesso modello fisionomico – si può confrontare anche con un dipinto attribuito a Borgianni conservato all’Hermitage (ГЭ-2357), che serve tuttavia anche ad escludere l’identificazione: di grande effetto e invenzione è, infatti, nel quadro in esame, la costruzione raffinata delle mani, ben più complessa rispetto all’Hermitage, e indice di uno studio attento e un’abilità disegnativa sicura. Le dita sono tra loro efficacemente incastrate e dipinte facendo emergere dettagli realistici dovuti alla luce, come il riflesso sull’unghia del pollice destro, oppure l’immergersi del pollice sinistro nel buio dell’ombra sulla mozzetta scarlatta.
Come, riassuntivamente, segnala Yuri Primarosa (comunicazione del 18 dicembre 2023) l’autore non è «né Borgianni né Saraceni». La tela in esame è più cruda negli effetti luminosi, più realistica nella descrizione delle anatomie e più decisa nel sottolineare la tridimensionalità della veste. Anche il motivo a punto giorno che si nota sulla manica destra della cotta bianca è un elemento di interesse, in quanto mostra la precisa volontà di riprodurre il dato reale.
Tuttavia questi stessi elementi, oltre all’uso dei colori, in particolare il rosso, immerso nella tenue luce notturna, e dei carnati sporchi, contrassegno dei poveri e degli ultimi in cui San Carlo si immedesima, che si era potuto vedere così bene in Caravaggio (per esempio nella “Madonna dei Pellegrini” a Sant’Agostino) segnalano un tratto di strada comune con la diade Borgianni-Saraceni e una pagina significativa del primo caravaggismo a Roma.

Ringraziamo i Dottori Andrea Donati, Massimo Francucci, Patrizia Piergiovanni e Yuri Primarosa per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.
Olio su tela
65 x 50 cm

Elementi distintivi:
al recto, nell’angolo inferiore sinistro «256» preceduto da una colonna turrita, con riguardo ad un inventario Colonna; al verso sull’asse superiore del telaio, in pennarello nero, «L.K. 398». I numeri sono cassati in pennarello rosso e seguiti da «LK 0347».

Provenienza:
Collezioni Colonna (Inv. 256); Collezione Uberto Poletti

Certificati:
Scheda di Andrea Donati del 22 dicembre 2023 (Borgianni, attribuito a)

Stato di conservazione:
Condizione supporto: 80% (rintelaiatura; rintelo; probabile sfondamento risarcito al centro)
Condizione superficie: 80% (cadute di colore e ritocchi sparsi; una integrazione di maggiore dimensione in alto a sinistra; vernice protettiva)

L’iconografia di san Carlo Borromeo (1538-1584) è particolarmente diffusa a seguito della sua canonizzazione da parte di papa Paolo V il primo novembre 1610, sebbene la sua influente autorità in materie dottrinali abbia permesso che molte immagini venissero prodotte anche prima di questa data.
Di origini lombarde, Carlo Borromeo fu uno dei maggiori protagonisti della vita religiosa della Roma di secondo Cinquecento. Benefattore e riformatore della Chiesa cattolica, fu nominato arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore. Il legame e la particolare devozione tutta romana per il santo sono dimostrati dalle numerose cappelle e ricche chiese a lui dedicate nella città.
«Racconta il suo primo biografo Francisco Peña in un libretto pubblicato nel 1610, che "si fecero fare in Roma più di sessanta ritratti di S. Carlo grandi a oglio, che si donarono in occasione della canonizzazione alla Santità di Nostro Signore Papa Paolo Quinto a ciascun cardinale et ad altri Prelati, et personaggi grandi” ([...] Marco Gallo, Orazio Borgianni, Roma 1997, p. 71). Ad accaparrarsi una così ghiotta occasione di mercato e quasi a monopolizzare l’immagine del Borromeo concorsero alcuni dei pittori del tempo più affermati sulla piazza di Roma, in particolare Orazio Borgianni e Carlo Saraceni. Il primo è autore della pala d’altare già nella chiesa di Sant’Adriano nel Foro Romano e ora nella casa generalizia dei Padri Mercedari, e della pala nella sacrestia di San Carlo alle Quattro Fontane; il secondo di una pala in San Lorenzo in Lucina e di un’altra nella cappella Albizzi della chiesa dei Servi di Maria a Cesena. L’esistenza di altri quadri, da cavalletto, raffiguranti Borromeo a mezza figura, di mano sia di Saraceni che di Borgianni, conferma ciò che narra Peña, ossia che prima delle pale d’altare, furono create immagini destinate al papa, al collegio cardinalizio e al patriziato romano. Da queste poi se ne fecero altre, tanto per le chiese quanto per la devozione privata e il collezionismo. Ci potremmo dunque trovare di fronte a uno dei primi esemplari di dipinti realizzati in occasione della canonizzazione di san Carlo Borromeo nel 1610 e supporre che anche i Colonna, pur non avendo un cardinale in quel frangente storico, in virtù della loro grandezza e nobiltà avessero ricevuto un quadro del genere» (Andrea Donati, scheda del 22 dicembre 2023).
L’abito cardinalizio e la caratterizzazione fisionomica permettono di non avere dubbi sull’identificazione dell’effigiato. Allo stesso modo la presenza dell’aureola, che ne assicura l’impronta di santità, conferma da datazione successiva al 1610.
All’angolo sinistro in basso si legge il numero di serie 256 preceduto da una colonna sormontata da corona principesca, simbolo che suggerisce una passata proprietà Colonna, che non si può tuttavia ad oggi meglio precisare. Infatti – precisa Patrizia Piergiovanni, direttrice della Galleria Colonna, il numero «non corrisponde a un ritratto nell’inventario fidecommissario ma certamente non possiamo escludere che si trattasse di uno dei tantissimi inventari antichi colonnesi» (comunicazione del 26.09.2023). Come noto, il fedecommesso – ossia il divieto di smembramento e alienazione – che insiste sulla odierna collezione Colonna fu istituito da Aspreno I Colonna Doria, erede per parte materna dei principi di Avella e duchi di Tursi e anche dell’intero fedecommesso dei Colonna di Paliano alla morte dello zio Filippo III scomparso nel 1818 senza eredi maschi (Paolo Carpentieri, “Il ruolo del fedecommesso nella conservazione delle collezioni d’arte”, Aedon, numero 3, 2022, pp. 161). Il dipinto deve quindi essere stato ceduto dai Colonna prima del 1818, allorquando gli era assicurata la piena disponibilità anche del patrimonio artistico.
Sul piano stilistico l’opera è di difficile collocazione, ma il tono generale sembra rimandare ad una personalità formatasi a contatto con Carlo Saraceni (1579 circa-1620) e Orazio Borgianni (1574 –1616), perciò attiva a Roma tra il 1605-1606 (anno del ritorno di Borgianni dalla Spagna) e il 1616. Borgianni e Saraceni risultano precocemente indicati «come guida del movimento caravaggesco, dopo che Caravaggio era precipitosamente fuggito da Roma. Coinvolto in una rissa durante una partita di pallacorda in Campo Marzio, Michelangelo Merisi aveva ucciso Ranuccio Tomassoni. L’omicidio era accaduto il 28 maggio 1606. Il 2 novembre 1606 Baglione accusò Saraceni e Borgianni «aderenti al Caravaggio» di averlo aggredito tramite un sicario. L’assalto sarebbe avvenuto «circa 20 giorni sono» per contrastare, da parte dei caravaggeschi già indicati come tali, l’elezione del nuovo principe dell’Accademia di S. Luca, pilotata da Baglione in qualità di principe uscente» (L. Spezzaferro, “Una testimonianza per gli inizi del caravaggismo”, in “Storia dell’arte”, 1975, n. 23, pp. 53-60).
Massimo Francucci, sulla base di una fotografia ad alta risoluzione definisce il dipinto come «sicuramente italiano, la qualità è molto alta, Saraceni è il nome più vicino, ma non convince pienamente» (comunicazione del 30 ottobre 2023). Ripercorrendo la produzione di Saraceni e di alcuni autori a lui vicini, Donati, nella scheda del 2023, identifica il più probabile autore in Orazio Borgianni: «né lo stile di Saraceni, né quello di Bernardi né quello di Bassetti si addicono al nostro dipinto, che è più vicino ai modi di Borgianni. Poiché quest’ultimo condivide il percorso artistico di Saraceni a Roma dal 1606 in poi e, dopo la fuga di Caravaggio, il suo ruolo diventa sempre più rilevante, non è fuori luogo supporre che abbia adottato lo stesso modello iconografico del compare, dipingendo un quadro da cavalletto che, se non è stato commissionato direttamente da un esponente della famiglia Colonna, potrebbe essere confluito in quella collezione fin dal 1610».
La postura, la torsione del collo, le mani intrecciate, la fisionomia impiegate nella nostra tela ricordano la parte superiore di un dipinto di Saraceni, in collezione privata ma esposto nel 2020 presso la Confraternita San Carlo Borromeo di Lugano, a conclusione delle celebrazioni per i 400 anni dalla fondazione. La soluzione ebbe fortuna, tant'è che venne replicata da Borgianni in una versione limitata al busto resa nota da Andrea Donati nel 2011 ("Per Francesco Parone milanese", "Valori Tattili. Quesiti Caravaggeschi 1", 2011, pp. 81-91; Rita Randolfi, in "Carlo Saraceni", a cura di M. G. Aurigemma, Milano 2014, pp. 290-292, n. 54). La condotta pittorica del volto – così come l’adesione allo stesso modello fisionomico – si può confrontare anche con un dipinto attribuito a Borgianni conservato all’Hermitage (ГЭ-2357), che serve tuttavia anche ad escludere l’identificazione: di grande effetto e invenzione è, infatti, nel quadro in esame, la costruzione raffinata delle mani, ben più complessa rispetto all’Hermitage, e indice di uno studio attento e un’abilità disegnativa sicura. Le dita sono tra loro efficacemente incastrate e dipinte facendo emergere dettagli realistici dovuti alla luce, come il riflesso sull’unghia del pollice destro, oppure l’immergersi del pollice sinistro nel buio dell’ombra sulla mozzetta scarlatta.
Come, riassuntivamente, segnala Yuri Primarosa (comunicazione del 18 dicembre 2023) l’autore non è «né Borgianni né Saraceni». La tela in esame è più cruda negli effetti luminosi, più realistica nella descrizione delle anatomie e più decisa nel sottolineare la tridimensionalità della veste. Anche il motivo a punto giorno che si nota sulla manica destra della cotta bianca è un elemento di interesse, in quanto mostra la precisa volontà di riprodurre il dato reale.
Tuttavia questi stessi elementi, oltre all’uso dei colori, in particolare il rosso, immerso nella tenue luce notturna, e dei carnati sporchi, contrassegno dei poveri e degli ultimi in cui San Carlo si immedesima, che si era potuto vedere così bene in Caravaggio (per esempio nella “Madonna dei Pellegrini” a Sant’Agostino) segnalano un tratto di strada comune con la diade Borgianni-Saraceni e una pagina significativa del primo caravaggismo a Roma.

Ringraziamo i Dottori Andrea Donati, Massimo Francucci, Patrizia Piergiovanni e Yuri Primarosa per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.

Per avere una visione completa dell’asta e del suo funzionamento si consultino, oltre al catalogo digitale dei lotti, le Regole della Vendita.

Chi partecipa all'asta dichiara di aver letto e compreso il Regolamento di vendita, come integrato dagli Aggiornamenti. Le commissioni d'asta, computate sul prezzo di aggiudicazione di ogni singolo lotto, sono pari a: per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 0 fino a € 50.000, 26,64% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione da € 50.000 fino a € 1.600.000, 23,37% + IVA; per la parte del prezzo di aggiudicazione oltre € 1.600.000, 16,80% + IVA. Il pagamento deve avvenire tramite bonifico bancario entro 35 giorni naturali dalla seduta d'asta. Le penali per il tardivo pagamento sono pari al 20% dell'importo dovuto. L'importo dovuto per il tardivo ritiro corrisponde a tutte le spese sostenute dalla casa d'aste per ritirare il lotto nei modi posti dalle Regole della Vendita a carico dell'acquirente, per movimentarlo e per stoccarlo adeguatamente, inclusa protezione assicurativa, fino al ritiro da parte dello stesso o alla sua vendita forzata.