Lotti Bonino
Lot 288
Rocco Marconi (1480 – 1529)
Davide con la testa di Golia, 1515-1525
La seduta d'asta si tiene il 15 maggio 2024 alle 15:30 (IT Time)
Stima €130000 - €150000
Lotto aggiudicato a € 90000.00
Olio su tavola
78,5 x 64,8 cm
Elementi distintivi:
al verso della cornice, sull’asse superiore, in pennarello nero «LK 1338»; sull’asse sinistro, di difficile lettura, in lapis, «156»; sull’angolo inferiore sinistro, etichetta quadrata bianca, in penna «338/2000». Sull’asse superiore del telaio, su un bollino rosso, in penna «106»; lungo l’asse sinistro etichetta stampata «...NSPEED LIMITED, ... SHOUSE WALK. SE11, ... none 020-7735 0566», «REF.», compilato in penna «2922», «Christie, old. Modern Masters, lot 106». Seguono tre etichette identiche stampate con codice a barre «1169 0313»
Provenienza:
Conolly family, Castletown, presso Celbridge nella contea di Killdare, Irlanda (1734-1960): probabilmente acquisito da Tom Conolly (1734-1803) nel 1758 durante il Grand Tour, passato per discendenza, attraverso il maggiore Edward Michael Conolly, C.M.G. (1874-1956), al nipote William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew, C.B.E. (1905-1994), figlio di Catherine, Lady Carew, née Conolly; Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (come Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (come «Venetian School, circa 1530»)
Bibliografia :
Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (Venetian School, circa 1530); E. M. Dal Pozzolo, "Quale religiosità in Giorgione?", in G. Cecchetto, a cura di, "Le tende cristiane nella Castellana", Atti del Convegno (Castelfranco Veneto, 11-18-25 novembre 1996), Castelfranco Veneto 1997, pp. 126-127, 137-138 note 34-35, p. 152, ill. 17 (Marconi, attribuito a); E. M. Dal Pozzolo, "Tra Cariani e Rocco Marconi", in "Venezia Cinquecento", VII, n. 13, gennaio-giugno 1997, p. 10 (Marconi); G. Fossaluzza, "Davide e Gionatan con la testa di Golia", in E. M. Dal Pozzolo, "Giorgione", Milano 2009, p. 207, ill. 173 (Marconi)
Esposizioni:
Londra, Royal Academy, Winter Exhibition, 1908, n. 29 (come “Early italian”); Dublino, National Gallery of Ireland, 1922; Robilant & Voena Milano-Londra, 2022
Certificati:
scheda di Giorgio Fossaluzza del settembre 2009 (in formato digitale)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 75% (almeno una giuntura verticale; leggera convessità; una lunga frattura verticale conseguente a pressione, senza rilevanti cadute pittoriche; fratture consolidate al margine inferiore; minori danni da tarli, di maggiore entità nell'angolo inferiore destro; tavola parchettata)
Condizione superficie: 70% (per alcuni millimetri nella parte superiore e a destra la tavola non è dipinta; leggeri rigonfiamenti, spari e stabilizzati, soprattutto nella metà superiore; cadute di colore diffuse e integrazioni anche sui volti, in misura minore sul volto centrale)
78,5 x 64,8 cm
Elementi distintivi:
al verso della cornice, sull’asse superiore, in pennarello nero «LK 1338»; sull’asse sinistro, di difficile lettura, in lapis, «156»; sull’angolo inferiore sinistro, etichetta quadrata bianca, in penna «338/2000». Sull’asse superiore del telaio, su un bollino rosso, in penna «106»; lungo l’asse sinistro etichetta stampata «...NSPEED LIMITED, ... SHOUSE WALK. SE11, ... none 020-7735 0566», «REF.», compilato in penna «2922», «Christie, old. Modern Masters, lot 106». Seguono tre etichette identiche stampate con codice a barre «1169 0313»
Provenienza:
Conolly family, Castletown, presso Celbridge nella contea di Killdare, Irlanda (1734-1960): probabilmente acquisito da Tom Conolly (1734-1803) nel 1758 durante il Grand Tour, passato per discendenza, attraverso il maggiore Edward Michael Conolly, C.M.G. (1874-1956), al nipote William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew, C.B.E. (1905-1994), figlio di Catherine, Lady Carew, née Conolly; Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (come Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (come «Venetian School, circa 1530»)
Bibliografia :
Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (Venetian School, circa 1530); E. M. Dal Pozzolo, "Quale religiosità in Giorgione?", in G. Cecchetto, a cura di, "Le tende cristiane nella Castellana", Atti del Convegno (Castelfranco Veneto, 11-18-25 novembre 1996), Castelfranco Veneto 1997, pp. 126-127, 137-138 note 34-35, p. 152, ill. 17 (Marconi, attribuito a); E. M. Dal Pozzolo, "Tra Cariani e Rocco Marconi", in "Venezia Cinquecento", VII, n. 13, gennaio-giugno 1997, p. 10 (Marconi); G. Fossaluzza, "Davide e Gionatan con la testa di Golia", in E. M. Dal Pozzolo, "Giorgione", Milano 2009, p. 207, ill. 173 (Marconi)
Esposizioni:
Londra, Royal Academy, Winter Exhibition, 1908, n. 29 (come “Early italian”); Dublino, National Gallery of Ireland, 1922; Robilant & Voena Milano-Londra, 2022
Certificati:
scheda di Giorgio Fossaluzza del settembre 2009 (in formato digitale)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 75% (almeno una giuntura verticale; leggera convessità; una lunga frattura verticale conseguente a pressione, senza rilevanti cadute pittoriche; fratture consolidate al margine inferiore; minori danni da tarli, di maggiore entità nell'angolo inferiore destro; tavola parchettata)
Condizione superficie: 70% (per alcuni millimetri nella parte superiore e a destra la tavola non è dipinta; leggeri rigonfiamenti, spari e stabilizzati, soprattutto nella metà superiore; cadute di colore diffuse e integrazioni anche sui volti, in misura minore sul volto centrale)
La sala IX delle Gallerie dell’Accademia – la più importante collezione di arte veneziana e veneta dal XIV al XVIII secolo – è dedicata ai comprimari che, attivi anche in Terraferma, sulla scorta dei Bellini e di Palma il Vecchio e accanto a Tiziano, disegnano il nuovo panorama della pittura lagunare a inizio Cinquecento: Lorenzo Lotto, Palma il Vecchio e Rocco Marconi.
Proprio al catalogo di Rocco Marconi appartiene la «notevole tavola» in esame, «già in Inghilterra nella collezione Conolly, esibita nel 1908 alla Royal Academy di Londra e nel 1922 alla National Gallery of Ireland, e apparsa in asta – con l’attribuzione a Giorgione – a Londra nel 1960» (Dal Pozzolo 1997a).
Proprio dalla scheda di catalogo della esposizione alla Royal Academy, si apprende l’illustre provenienza collezionistica. Probabilmente acquistata in Italia nel 1758, durante il Grand Tour, da Tom Conolly (1734-1803), la tavola è rimasta fino al 1960 presso la dimora di famiglia a Castletown presso Celbridge, nella contea irlandese di Kildare, passando per via ereditaria fino a William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew (1905-1994), commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico e cavalliere del Venerabile ordine di San Giovanni. Castletown House, «la più ampia e la prima casa di campagna palladiana in Irlanda» (Christie’s 2003), «fu fatta costruire dal capostipite William Conolly (1662-1729), Presidente della Camera dei Comuni irlandese, a partire dal 1723 con l’apporto progettuale di Alessandro Galilei ed Edward Lovett Pearce. Tale residenza passò in eredità al pronipote Tom Conolly nel 1758. La decorazione interna della dimora, su progetto di William Chambers, venne realizzata tra il 1760 e il 1770, al tempo della consorte di Tom Conolly (1734-1802), Lady Louisa, figlia di Charles Lennox, 2° duca di Richmond e pronipote di Carlo II d’Inghilterra» (Fossaluzza 2009, p. 1).
La scoperta della corretta attribuzione della tavola si deve ad Anchise Tempestini - fototecario dal 1967 al 2003 del Kunsthistorisches Institut in Florenz Max-Planck-Gesellschaft e eminente studioso dei Bellini e della loro scuola - che a Rocco Marconi ha dedicato alcuni fondamentali contributi (inter alias, “Addenda to Rocco Marconi”, in “The Burlington Magazine”, CXVI (1974), 856, p. 391; “I pittori bergamaschi del primo Cinquecento”, in “Antichità viva”, XV (1976), pp. 57 s.; “La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516”, in “La pittura nel Veneto. Il Cinquecento”, Milano 1999, III, pp. 943, 946). Si trova infatti, sulla scheda 182715, inventariata da Ulrich Middeldorf come “Giorgione”, una sua annotazione a matita “Rocco Marconi (?) (AT)”, con biffatura del precedente riferimento.
Anchise Tempestivi ha confermato, in supporto alla presente catalogazione, che «il dipinto che raffigura David con la testa di Golia è sicuramente un'opera della maturità di Rocco Marconi, databile al 1525 circa» (comunicazione del 4 gennaio 2024).
Centrale per la datazione dell’opera è il rapporto con il “Compianto sul Cristo morto”, una pala (444x312 cm) che si trovava, fino alla soppressione napoleonica del 1810, nella chiesa di Santa Maria dei Servi ed è oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Essa è infatti attribuita da tutte le fonti storiche a Rocco Marconi, a partire da Marco Boschini («La tavola doppo l'altar de' Barbieri; dove è Cristo deposto di Croce, con le Marie, & un Santo Servita, con bellissimo paese, è tavola molto grande, e maestosa è la più bella che facesse Rocco Marconi», in “Le minere della pittura”, Venezia, edizioni del 1664 e 1674), seguito dalle guide storiche di Venezia di Domenico Martinelli (“Il ritratto di Venezia”, Venezia, 1684) e Antonio Maria Zanetti (“Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733”, Venezia, 1733; e “Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V”, Venezia, 1771), nonché da tutte le voci più autorevoli del XIX secolo, tra cui Appiani, Fumagalli, Edwards e Cicognara. La critica moderna – con importanti eccezioni – riferisce invece la pala a Giovanni Bellini (1427 o 1430 circa – 1516) e aiuti, datandola per lo più al 1515-1516. In favore di Marconi si sono espressi Bereson, per la piena autografia a Marconi nel 1895 (e per un’opera di collaborazione con Bellini nel 1919 - parere quest’ultimo seguito da Moschini Marconi nel 1955 e Gibbons nel 1962) -, Heinemann (1962) e Tempestini (2000, 2009).
Tempestini ha offerto un ulteriore affondo critico sul “Compianto” «un'opera inconfondibile di Rocco Marconi, pur se la storia dell'arte italiana del XX secolo la assegna sempre a Giovanni Bellini. Su questo dipinto Fritz Heinemann, 1962, I, p. 119, cat.S. 202, ha costruito una delle sue schede migliori, sostenendo il fatto che l'autore è attivo negli anni di Tiziano e di Palma il Vecchio, rilevando che è eseguito su tela, supporto che Giovanni Bellini adotta solo per le opere destinate al Palazzo Ducale e al Camerino d'alabastro di Alfonso I d'Este. Deve essere fatto risalire al 1525 circa» (comunicazione dell’8 gennaio 2024). Si trova così confermata, nella sua lettura, la datazione del dipinto in esame allo stesso anno.
In effetti, il trattamento dei volti maschili nella pala richiama quello della tavola, ed in particolare il Cristo deposto si lascia avvicinare al volto del ragazzo in armi.
Enrico Maria Dal Pozzolo – che ha riconfermato l’assegnazione dell’opera a Marconi nel corso della presente schedatura (comunicazione del 5 gennaio 2024) – nel renderla nota agli studi nel 2007, ha sottolineato che «una relazione strettissima, quasi simbiotica» tra Giovanni Bellini e Rocco Marconi «sarebbe ulteriormente attestata se davvero si dovesse a Rocco in prima persona la stesura di quel capolavoro che è il grande “Compianto sul Cristo morto”». A questo proposito, precisa lo specialista, che «Di certo, se un’ideazione belliniana è tutt’altro che escludibile, vista la grandiosità solenne dell’impianto e la sintonia con le coeve realizzazioni del maestro, molto difficilmente l’esecuzione tanto del paese quanto delle figure spetta a Giovanni, mentre a ben vedere svariati dettagli alludono con insistenza alla mano di Rocco. Un Rocco, però, enormemente cresciuto rispetto agli standards di partenza, e ormai accordato sulle prospettive della nuova pittura di Tiziano e Sebastiano, mentre brani come la testa di Maria ammettono la conoscenza di celebri prove giorgionesche (penso alla “Giuditta” dell’Ermitage e alle “Tre età” Pitti). D’altra parte tale allargamento dell’orizzonte ispirativo è confermato, non molto dopo il 1510 che si può supporre per il “Compianto”, da un pressoché inedito “David e Gionata” che discuto in altra sede, dove – dall’iconografia all’impianto, dal gioco di sguardi fino all’alberello in controluce – si dichiara palese la derivazione giorgionesca e prototizianesca e già un indubitabile contatto con Palma il Vecchio. Davvero a questo punto, e saremo forse sul 1515, Rocco non si precluse altre esperienze: basti considerare quanto la "Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Andrea" già sul mercato viennese ricordi certe creazioni di Altobello Melone, seppur interpretato in termini inequivocabilmente veneziani» (Dal Pozzolo 1997b, p. 10). In un secondo contributo di maggiore approfondimento sul dipinto in esame, pressoché contemporaneo, Dal Pozzolo, dopo aver ricordato il “David con la testa di Golia” al Kunsthistorisches Museum di Vienna, «[t]alora considerato un autografo giorgionesco, ma piuttosto di cerchia, e forse databile non troppo lungi dal 1510» ed altre fonti per questo soggetto nella produzione di Giorgione, richiama «la singolare fortuna iconografica di un tema – quello dell’invidia di Saul nell’accogliere il giovane eroe vittorioso – in cui l’accento è spostato dall’episodio ai conflittuali moti psicologici che lo accompagnano, risultando tra l’altro un po’ ambiguo nella presentazione dei personaggi». Segnala quindi come la tavola in esame possa essere traccia di un'alternativa soluzione iconografica, in cui, entro lo «affine impianto compositivo, la figura principale sembra troppo giovanile per credere che si tratti di Saul». Prendendo le mosse dalla attribuzione a Giorgione, con cui la tela in esame era apparsa in asta nel 1960, Dal Pozzolo avverte, che, per «quanto non sostenibile, il riferimento al maestro porta una qualche base di verità, trattandosi di cosa che ha tutta l’aria di spettare a Rocco Marconi, in una fase ‘giorgionesca’ segnata pure dal contatto con l’opera di Palma il Vecchio e del primo Tiziano, al punto da rendere non escludibile l’esistenza di un perduto prototipo». Lo studioso reinterpreta così il tema figurativo: «Imperniato sull’intenso gioco di sguardi tra i due personaggi, il dipinto probabilmente descrive il legame d’amicizia tra “David e Gionata”, figlio di Saul», anche se «non è certo che il maggiore in armi sia David» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127 e p. 127, n. 35). Il tema iconografico – al di fuori dei riferimenti a Giorgione – resta rarissimo, il che costituisce un ulteriore fattore di interesse della tavola in asta: infatti, «se è indubbio che l’episodio dell’uccisione di Golia ebbe qualche fortuna tra miniatori e incisori, e che – ad esempio – Jacopo Bellini nei suoi disegni a Londra e a Parigi lo replica per ben quattro volte, considerando le applicazioni pittoriche ci si imbatte in pochissimi casi isolati. [Oltre alla tavola in esame, un] dipinto della bottega di Mantegna al Kunsthistorisches Museum di Vienna (pendant a un Sacrificio di Isacco) e una tavola di Cima da Conegliano alla National Gallery di Londra con David e Gionata, peraltro non immune al sospetto di un influsso giorgionesco. […] Poi – apparentemente – nulla: nessun pezzo nei cataloghi di Giovanni e Gentile Bellini, di Carpaccio, di Bartolomeo Montagna, del Buonconsiglio, di Diana, e, prima ancora, dei tre Vivarini, di Antonello, Pisanello, Gentile da Fabriano ecc. E se con pazienza si scorrono gli “Indici” delle pitture venete del Rinascimento redatti da Berenson o il repertorio belliniano di Heinemann, con migliaia di pezzi schedati, non si recupera alcuna segnalazione» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127).
Sul piano stilistico, Dal Pozzolo sottolinea che «il modulo con la testa di David suggerisce il confronto con vari esempi di Palma il Vecchio: ad esempio con la Madonna nella tavola della Galleria Colonna a Roma e con il pastore inginocchiato nella Pala di Zogno, che dovrebbero cadere non lungi dalla metà del secondo decennio (cfr. Ph. Rylands, “Palma il Vecchio. L’opera completa”, Milano, 1988, pp. 205, 209». Sul rapporto con un prototipo Giorgionesco, lo studioso precisa che «non si può affermare con sicurezza» «che il dipinto derivi da un perduto originale di Giorgione o del primo Tiziano»: «tuttavia è innegabile che la matrice culturale dell’opera sia da riconoscersi nella produzione della cerchia giorgionesca degli ultimi anni del primo decennio del secolo, in particolare del giovane Tiziano. Infatti il senso dello sguardo dei due protagonisti e dell’albero sullo sfondo si chiarisce alla luce del concerto campestre del Louvre» (Dal Pozzolo 1997a, p. 127, n. 35).
Anche Giorgio Fossaluzza si è espresso in favore della piena attribuzione della tavola in esame a Rocco Marconi, sia in una scheda critica redatta nel 2009, sia nel corpus del corpo catalogico di Giorgione, apparso nel 2009 per cura di Enrico Maria Dal Pozzolo: «Per quanto riguarda l’attribuzione del dipinto si coglie questa occasione, e la fortunata possibilità dell’esame diretto dell’opera, per sciogliere ogni riserva circa il riferimento a Rocco Marconi. Si sottolinea il fatto che viene così ad aggiungersi al catalogo delle opere autografe del maestro, di certo piuttosto esiguo, un esempio affatto raro dal punto di vista ideativo.»
Fossaluzza inquadra prima di tutto il soggetto, alla luce della fonte biblica, offrendo anche una interpretazione etico-politica della scena, «da leggere in chiave antitirannica»: «Davide è presentato sulla destra in armatura mentre trattiene l’enorme spada e si rivolge a Gionatan che assicura in equilibrio sul davanzale la testa mozzata del gigante Golia afferrandola per i capelli. Come noto, il pastore Davide, “fulvo di capelli e di bell’aspetto”, era entrato a servizio di re Saul come scudiero. Aveva accettato la sfida del gigante filisteo che terrorizzava il popolo ebreo. Con l’aiuto di dio lo sconfigge tramortendolo con un sasso lanciato con la fionda per poi decapitarlo con la sua stessa spada. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e, in particolare, gli valse l’amicizia di Gionatan, il figlio maggiore e il favorito di re Saul. Dal testo biblico sono presentati entrambi come coraggiosi guerrieri e devoti servitori di Dio; i due “conducevano un patto d’amicizia. Gionatan capiva che Davide aveva lo spirito di Dio” (1 Sa 18.1). Il momento di intenso colloquio tra i due giovani, lo sguardo volitivo di Davide, trovano in queste osservazioni del testo biblico, da non trascurarsi, l’interpretazione più aderente: si esprime l’ammirazione, l’intuizione del mandato divino che muove l’atto eroico compiuto. Davide dimostra capacità individuali insospettate, la sua prova è capace di donare la libertà al suo popolo» (Fossaluzza 2009, p. 3).
Riprendendo una ipotesi avanzata anche da Dal Pozzolo, Fossaluzza ricorda, tra le altre, una versione del “Davide con la testa di Golia”, di Giorgione, - in cui è Davide in armatura a tenere la testa di Golia - che si trovava in collezione Vendramin a Venezia documentata nei disegni di un taccuino secentesco che riproduceva la quadreria (cfr. T. Borenius, “The picture Gallery of Andrea Vendramin”, London 1923, pp. 22-24, tav. 3): «Vi sono quindi motivi per ritenere che il dipinto in oggetto possa derivare, o meglio, possa elaborare un modello spettante a Giorgione o alla sua cerchia, diverso da quello che presenta il solo Davide con la testa di Golia. Il taglio compositivo, la presenza del davanzale in primo piano, la resa del movimento bloccato delle figure trovano corrispondenza in ogni caso nei modelli di Giorgione e del suo ambito, con riferimento anche a quello Vendramin. Il rapporto tra fondale architettonico a destra e apertura paesaggistica a sinistra si deve ritenere, invece, ispirato a composizioni attestate soprattutto in fase immediatamente successiva a Giorgione e messe in voga soprattutto dal giovane Tiziano».
Lo studioso data l’opera più avanti rispetto a Dal Pozzolo (1515 circa) e poco prima di Tempestini (1525 circa): «si ha motivo di ritenere l’opera spettante alla fase di Marconi che corrisponde ai primissimi anni Venti, avendo a riferimento gli esempi sicuri e più rappresentativi riconosciuti al maestro veneziano». «Le peculiarità esecutive che Rocco Marconi dimostra in questo specifico momento si colgono anche nella resa levigata degli incarnati di Davide, nel panneggio semplificato della manica della camicia bianca, nella stesura della lacca rossa del berretto di Gionatan come se si trattasse di uno smalto, nei riflessi sulle vesti di quest’ultimo con effetti di cangiante sul verde. Si tratta dell’appropriazione della tecnica pittorica per “zone cromatiche” di Tiziano a cui ben corrisponde la valorizzazione dei toni data non solo dalla luce radente, ma anche dalla luce naturale che promana dall’apertura paesaggistica, dal raccordo tra le nuvole di fondo attraversate dall’esile albero e la testa di Gionatan» e «si può avvertire in questo la sua attenzione rivolta anche allo stile di Palma il Vecchio» (Fossaluzza 2009, p. 4).
L’opera assume, per Fossaluzza, anche il ruolo di ulteriore conferma nella distinzione tra la produzione di Marconi e quella di un suo anonimo capace collaboratore: «A quest’ultima personalità - convenzionalmente denominata “pseudo Rocco Marconi”, che, è da sottolineare, non ha nulla di meno qualitativamente rispetto all’ultima fase del maestro stesso - sono state riconosciute ultimamente opere assai significative che un tempo facevano parte del catalogo del Marconi nella fase più matura, cioè negli ultimi anni Venti del Cinquecento. Il confronto tra la pala con il “Cristo e i santi Pietro e Andrea” della basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, l’unica pala d’altare firmata dal Marconi, assegnabile agli anni 1520-1525, e due altri dipinti d’altare piuttosto noti del suo catalogo: “I Santi Giovanni Battista, Nicola da Bari e Andrea Apostolo” dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera con data del 1530 (contenuta nell’iscrizione apocrifa) e il “Cristo e i santi Pietro e Giovanni Battista” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, rende evidente che si tratta di opere di due personalità distinte, ma strettamente legate dal punto di vista dello stile, come si trattasse di maestro e allievo. Tale proposta di distinzione di personalità avanzata da Dal Pozzolo (1997a) è sostenuta con altre motivazioni da Fossaluzza (Cfr. “L’eredità di Isabella. Indagine sul collezionismo privato nelle terre gonzaghesche”, catalogo della mostra a cura di C. Micheli, Mantova, Palazzo della ragione, 20 settembre-27 ottobre 2002, pp. 240-241 cat. 18) nell’occasione di assegnare allo “Pseudo Marconi” l’Adorazione dei magi su tavola di grandi dimensioni (cm 117x162), allora in collezione privata mantovana. Lo “Pseudo Marconi” si differenzia chiaramente dal maestro, tra l’altro, per un’esecutività più minuziosa, per certa insistenza descrittiva che riguarda le fisionomie come pure i panneggi» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
«Tenuto conto di questa problematica, richiamata per comodità e chiarezza in termini del tutto schematici, la paternità di Rocco Marconi anziché del suo emulo del “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si può fondare sul confronto privilegiato proprio con la pala firmata dei “Santi Giovanni e Paolo” in Venezia. Inoltre, una conferma si ricava guardando alle versioni firmate che affrontano il tema a lui congeniale del “Cristo e l’adultera”, realizzato a mezze figure come dipinto da stanza di grandi dimensioni: Coral Gables, University of Miami, Lowe Art Gallery; Venezia, Gallerie dell’Accademia; Saltsjöbaden, Collezione E. Warren (cfr. De Vecchi 1980, p. 357 fig.1, p. 358 fig. 3, p. 359 figg. 2 e 3). Si aggiunga il riferimento al “Cristo fra Marta e Maria”, pure firmato, San Pietroburgo, Ermitage (cfr. De Vecchi 1980, p. 358, fig. 5). Anche per questo gruppo di opere, come per le citate pale d’altare, è agevole distinguere la mano di Rocco Marconi da quella del suo emulo che ripete con varianti gli stessi soggetti. Tenuto conto di tale classificazione è indubbio che spetti a Marconi la versione del “Cristo fra Marta e Maria” del County Museum di Los Angeles (si veda immagine a piedi pagina), opera di alta qualità assegnabile agli anni Venti (Cfr. Berenson, 1957, II, fig. 908). È da ritenersi forse solo di poco successiva alla pala dei Santi Giovanni e Paolo. Si porta l’attenzione su quest’opera, in particolare, perché i riscontri con il “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si fanno quanto mai diretti. Si ponga a confronto la figura del giovanetto a capo scoperto alla destra di Cristo con quella di Gionatan. Corrisponde alla perfezione la sottolineatura dei tratti somatici attraverso la luce radente, certa compattezza della materia cromatica che distingue Rocco Marconi da altri maestri contemporanei che si avvalgono di un tonalismo più effusivo che, abbinato a un’inclinazione espressiva sentimentale, ha fatto meritare loro la qualifica di neogiorgioneschi, come ad esempio Paris Bordon e Bonifacio Veronese in fase giovanile» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
La tavola è stata sottoposta, nell’ottobre 2023, ad una serie di analisi scientifiche, a cura di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range spettrali, 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.) e infrarosso in falso colore. In particolare dalle riprese all’infrarosso non è emerso il disegno sottostante, salvo poche tracce attorno al naso di Golia. Al contrario i ripensamenti sono evidenti anche a occhio nudo dove la pellicola pittorica è consunta, ad esempio, nell’area delle mani. Entrambi gli elementi sono traccia di una esecuzione rapida e sicura, con le caratteristiche tipiche della invenzione originale.
Il dipinto in esame diviene così ad un tempo una testimonianza eccezionale dell’opera di Rocco Marconi, e della sua capacità di unire le esperienze della tarda bottega dei Bellini, la lezione di Giorgione e di Palma il Vecchio e le novità promosse da Tiziano, ponendosi nel crocevia tra le maggiori personalità dell’arte a Venezia nel primo quarto del XVI secolo.
Ringraziamo per il prezioso supporto nella schedatura i Professori Enrico Maria Dal Pozzolo e Anchise Tempestini.
Proprio al catalogo di Rocco Marconi appartiene la «notevole tavola» in esame, «già in Inghilterra nella collezione Conolly, esibita nel 1908 alla Royal Academy di Londra e nel 1922 alla National Gallery of Ireland, e apparsa in asta – con l’attribuzione a Giorgione – a Londra nel 1960» (Dal Pozzolo 1997a).
Proprio dalla scheda di catalogo della esposizione alla Royal Academy, si apprende l’illustre provenienza collezionistica. Probabilmente acquistata in Italia nel 1758, durante il Grand Tour, da Tom Conolly (1734-1803), la tavola è rimasta fino al 1960 presso la dimora di famiglia a Castletown presso Celbridge, nella contea irlandese di Kildare, passando per via ereditaria fino a William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew (1905-1994), commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico e cavalliere del Venerabile ordine di San Giovanni. Castletown House, «la più ampia e la prima casa di campagna palladiana in Irlanda» (Christie’s 2003), «fu fatta costruire dal capostipite William Conolly (1662-1729), Presidente della Camera dei Comuni irlandese, a partire dal 1723 con l’apporto progettuale di Alessandro Galilei ed Edward Lovett Pearce. Tale residenza passò in eredità al pronipote Tom Conolly nel 1758. La decorazione interna della dimora, su progetto di William Chambers, venne realizzata tra il 1760 e il 1770, al tempo della consorte di Tom Conolly (1734-1802), Lady Louisa, figlia di Charles Lennox, 2° duca di Richmond e pronipote di Carlo II d’Inghilterra» (Fossaluzza 2009, p. 1).
La scoperta della corretta attribuzione della tavola si deve ad Anchise Tempestini - fototecario dal 1967 al 2003 del Kunsthistorisches Institut in Florenz Max-Planck-Gesellschaft e eminente studioso dei Bellini e della loro scuola - che a Rocco Marconi ha dedicato alcuni fondamentali contributi (inter alias, “Addenda to Rocco Marconi”, in “The Burlington Magazine”, CXVI (1974), 856, p. 391; “I pittori bergamaschi del primo Cinquecento”, in “Antichità viva”, XV (1976), pp. 57 s.; “La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516”, in “La pittura nel Veneto. Il Cinquecento”, Milano 1999, III, pp. 943, 946). Si trova infatti, sulla scheda 182715, inventariata da Ulrich Middeldorf come “Giorgione”, una sua annotazione a matita “Rocco Marconi (?) (AT)”, con biffatura del precedente riferimento.
Anchise Tempestivi ha confermato, in supporto alla presente catalogazione, che «il dipinto che raffigura David con la testa di Golia è sicuramente un'opera della maturità di Rocco Marconi, databile al 1525 circa» (comunicazione del 4 gennaio 2024).
Centrale per la datazione dell’opera è il rapporto con il “Compianto sul Cristo morto”, una pala (444x312 cm) che si trovava, fino alla soppressione napoleonica del 1810, nella chiesa di Santa Maria dei Servi ed è oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Essa è infatti attribuita da tutte le fonti storiche a Rocco Marconi, a partire da Marco Boschini («La tavola doppo l'altar de' Barbieri; dove è Cristo deposto di Croce, con le Marie, & un Santo Servita, con bellissimo paese, è tavola molto grande, e maestosa è la più bella che facesse Rocco Marconi», in “Le minere della pittura”, Venezia, edizioni del 1664 e 1674), seguito dalle guide storiche di Venezia di Domenico Martinelli (“Il ritratto di Venezia”, Venezia, 1684) e Antonio Maria Zanetti (“Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733”, Venezia, 1733; e “Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V”, Venezia, 1771), nonché da tutte le voci più autorevoli del XIX secolo, tra cui Appiani, Fumagalli, Edwards e Cicognara. La critica moderna – con importanti eccezioni – riferisce invece la pala a Giovanni Bellini (1427 o 1430 circa – 1516) e aiuti, datandola per lo più al 1515-1516. In favore di Marconi si sono espressi Bereson, per la piena autografia a Marconi nel 1895 (e per un’opera di collaborazione con Bellini nel 1919 - parere quest’ultimo seguito da Moschini Marconi nel 1955 e Gibbons nel 1962) -, Heinemann (1962) e Tempestini (2000, 2009).
Tempestini ha offerto un ulteriore affondo critico sul “Compianto” «un'opera inconfondibile di Rocco Marconi, pur se la storia dell'arte italiana del XX secolo la assegna sempre a Giovanni Bellini. Su questo dipinto Fritz Heinemann, 1962, I, p. 119, cat.S. 202, ha costruito una delle sue schede migliori, sostenendo il fatto che l'autore è attivo negli anni di Tiziano e di Palma il Vecchio, rilevando che è eseguito su tela, supporto che Giovanni Bellini adotta solo per le opere destinate al Palazzo Ducale e al Camerino d'alabastro di Alfonso I d'Este. Deve essere fatto risalire al 1525 circa» (comunicazione dell’8 gennaio 2024). Si trova così confermata, nella sua lettura, la datazione del dipinto in esame allo stesso anno.
In effetti, il trattamento dei volti maschili nella pala richiama quello della tavola, ed in particolare il Cristo deposto si lascia avvicinare al volto del ragazzo in armi.
Enrico Maria Dal Pozzolo – che ha riconfermato l’assegnazione dell’opera a Marconi nel corso della presente schedatura (comunicazione del 5 gennaio 2024) – nel renderla nota agli studi nel 2007, ha sottolineato che «una relazione strettissima, quasi simbiotica» tra Giovanni Bellini e Rocco Marconi «sarebbe ulteriormente attestata se davvero si dovesse a Rocco in prima persona la stesura di quel capolavoro che è il grande “Compianto sul Cristo morto”». A questo proposito, precisa lo specialista, che «Di certo, se un’ideazione belliniana è tutt’altro che escludibile, vista la grandiosità solenne dell’impianto e la sintonia con le coeve realizzazioni del maestro, molto difficilmente l’esecuzione tanto del paese quanto delle figure spetta a Giovanni, mentre a ben vedere svariati dettagli alludono con insistenza alla mano di Rocco. Un Rocco, però, enormemente cresciuto rispetto agli standards di partenza, e ormai accordato sulle prospettive della nuova pittura di Tiziano e Sebastiano, mentre brani come la testa di Maria ammettono la conoscenza di celebri prove giorgionesche (penso alla “Giuditta” dell’Ermitage e alle “Tre età” Pitti). D’altra parte tale allargamento dell’orizzonte ispirativo è confermato, non molto dopo il 1510 che si può supporre per il “Compianto”, da un pressoché inedito “David e Gionata” che discuto in altra sede, dove – dall’iconografia all’impianto, dal gioco di sguardi fino all’alberello in controluce – si dichiara palese la derivazione giorgionesca e prototizianesca e già un indubitabile contatto con Palma il Vecchio. Davvero a questo punto, e saremo forse sul 1515, Rocco non si precluse altre esperienze: basti considerare quanto la "Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Andrea" già sul mercato viennese ricordi certe creazioni di Altobello Melone, seppur interpretato in termini inequivocabilmente veneziani» (Dal Pozzolo 1997b, p. 10). In un secondo contributo di maggiore approfondimento sul dipinto in esame, pressoché contemporaneo, Dal Pozzolo, dopo aver ricordato il “David con la testa di Golia” al Kunsthistorisches Museum di Vienna, «[t]alora considerato un autografo giorgionesco, ma piuttosto di cerchia, e forse databile non troppo lungi dal 1510» ed altre fonti per questo soggetto nella produzione di Giorgione, richiama «la singolare fortuna iconografica di un tema – quello dell’invidia di Saul nell’accogliere il giovane eroe vittorioso – in cui l’accento è spostato dall’episodio ai conflittuali moti psicologici che lo accompagnano, risultando tra l’altro un po’ ambiguo nella presentazione dei personaggi». Segnala quindi come la tavola in esame possa essere traccia di un'alternativa soluzione iconografica, in cui, entro lo «affine impianto compositivo, la figura principale sembra troppo giovanile per credere che si tratti di Saul». Prendendo le mosse dalla attribuzione a Giorgione, con cui la tela in esame era apparsa in asta nel 1960, Dal Pozzolo avverte, che, per «quanto non sostenibile, il riferimento al maestro porta una qualche base di verità, trattandosi di cosa che ha tutta l’aria di spettare a Rocco Marconi, in una fase ‘giorgionesca’ segnata pure dal contatto con l’opera di Palma il Vecchio e del primo Tiziano, al punto da rendere non escludibile l’esistenza di un perduto prototipo». Lo studioso reinterpreta così il tema figurativo: «Imperniato sull’intenso gioco di sguardi tra i due personaggi, il dipinto probabilmente descrive il legame d’amicizia tra “David e Gionata”, figlio di Saul», anche se «non è certo che il maggiore in armi sia David» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127 e p. 127, n. 35). Il tema iconografico – al di fuori dei riferimenti a Giorgione – resta rarissimo, il che costituisce un ulteriore fattore di interesse della tavola in asta: infatti, «se è indubbio che l’episodio dell’uccisione di Golia ebbe qualche fortuna tra miniatori e incisori, e che – ad esempio – Jacopo Bellini nei suoi disegni a Londra e a Parigi lo replica per ben quattro volte, considerando le applicazioni pittoriche ci si imbatte in pochissimi casi isolati. [Oltre alla tavola in esame, un] dipinto della bottega di Mantegna al Kunsthistorisches Museum di Vienna (pendant a un Sacrificio di Isacco) e una tavola di Cima da Conegliano alla National Gallery di Londra con David e Gionata, peraltro non immune al sospetto di un influsso giorgionesco. […] Poi – apparentemente – nulla: nessun pezzo nei cataloghi di Giovanni e Gentile Bellini, di Carpaccio, di Bartolomeo Montagna, del Buonconsiglio, di Diana, e, prima ancora, dei tre Vivarini, di Antonello, Pisanello, Gentile da Fabriano ecc. E se con pazienza si scorrono gli “Indici” delle pitture venete del Rinascimento redatti da Berenson o il repertorio belliniano di Heinemann, con migliaia di pezzi schedati, non si recupera alcuna segnalazione» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127).
Sul piano stilistico, Dal Pozzolo sottolinea che «il modulo con la testa di David suggerisce il confronto con vari esempi di Palma il Vecchio: ad esempio con la Madonna nella tavola della Galleria Colonna a Roma e con il pastore inginocchiato nella Pala di Zogno, che dovrebbero cadere non lungi dalla metà del secondo decennio (cfr. Ph. Rylands, “Palma il Vecchio. L’opera completa”, Milano, 1988, pp. 205, 209». Sul rapporto con un prototipo Giorgionesco, lo studioso precisa che «non si può affermare con sicurezza» «che il dipinto derivi da un perduto originale di Giorgione o del primo Tiziano»: «tuttavia è innegabile che la matrice culturale dell’opera sia da riconoscersi nella produzione della cerchia giorgionesca degli ultimi anni del primo decennio del secolo, in particolare del giovane Tiziano. Infatti il senso dello sguardo dei due protagonisti e dell’albero sullo sfondo si chiarisce alla luce del concerto campestre del Louvre» (Dal Pozzolo 1997a, p. 127, n. 35).
Anche Giorgio Fossaluzza si è espresso in favore della piena attribuzione della tavola in esame a Rocco Marconi, sia in una scheda critica redatta nel 2009, sia nel corpus del corpo catalogico di Giorgione, apparso nel 2009 per cura di Enrico Maria Dal Pozzolo: «Per quanto riguarda l’attribuzione del dipinto si coglie questa occasione, e la fortunata possibilità dell’esame diretto dell’opera, per sciogliere ogni riserva circa il riferimento a Rocco Marconi. Si sottolinea il fatto che viene così ad aggiungersi al catalogo delle opere autografe del maestro, di certo piuttosto esiguo, un esempio affatto raro dal punto di vista ideativo.»
Fossaluzza inquadra prima di tutto il soggetto, alla luce della fonte biblica, offrendo anche una interpretazione etico-politica della scena, «da leggere in chiave antitirannica»: «Davide è presentato sulla destra in armatura mentre trattiene l’enorme spada e si rivolge a Gionatan che assicura in equilibrio sul davanzale la testa mozzata del gigante Golia afferrandola per i capelli. Come noto, il pastore Davide, “fulvo di capelli e di bell’aspetto”, era entrato a servizio di re Saul come scudiero. Aveva accettato la sfida del gigante filisteo che terrorizzava il popolo ebreo. Con l’aiuto di dio lo sconfigge tramortendolo con un sasso lanciato con la fionda per poi decapitarlo con la sua stessa spada. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e, in particolare, gli valse l’amicizia di Gionatan, il figlio maggiore e il favorito di re Saul. Dal testo biblico sono presentati entrambi come coraggiosi guerrieri e devoti servitori di Dio; i due “conducevano un patto d’amicizia. Gionatan capiva che Davide aveva lo spirito di Dio” (1 Sa 18.1). Il momento di intenso colloquio tra i due giovani, lo sguardo volitivo di Davide, trovano in queste osservazioni del testo biblico, da non trascurarsi, l’interpretazione più aderente: si esprime l’ammirazione, l’intuizione del mandato divino che muove l’atto eroico compiuto. Davide dimostra capacità individuali insospettate, la sua prova è capace di donare la libertà al suo popolo» (Fossaluzza 2009, p. 3).
Riprendendo una ipotesi avanzata anche da Dal Pozzolo, Fossaluzza ricorda, tra le altre, una versione del “Davide con la testa di Golia”, di Giorgione, - in cui è Davide in armatura a tenere la testa di Golia - che si trovava in collezione Vendramin a Venezia documentata nei disegni di un taccuino secentesco che riproduceva la quadreria (cfr. T. Borenius, “The picture Gallery of Andrea Vendramin”, London 1923, pp. 22-24, tav. 3): «Vi sono quindi motivi per ritenere che il dipinto in oggetto possa derivare, o meglio, possa elaborare un modello spettante a Giorgione o alla sua cerchia, diverso da quello che presenta il solo Davide con la testa di Golia. Il taglio compositivo, la presenza del davanzale in primo piano, la resa del movimento bloccato delle figure trovano corrispondenza in ogni caso nei modelli di Giorgione e del suo ambito, con riferimento anche a quello Vendramin. Il rapporto tra fondale architettonico a destra e apertura paesaggistica a sinistra si deve ritenere, invece, ispirato a composizioni attestate soprattutto in fase immediatamente successiva a Giorgione e messe in voga soprattutto dal giovane Tiziano».
Lo studioso data l’opera più avanti rispetto a Dal Pozzolo (1515 circa) e poco prima di Tempestini (1525 circa): «si ha motivo di ritenere l’opera spettante alla fase di Marconi che corrisponde ai primissimi anni Venti, avendo a riferimento gli esempi sicuri e più rappresentativi riconosciuti al maestro veneziano». «Le peculiarità esecutive che Rocco Marconi dimostra in questo specifico momento si colgono anche nella resa levigata degli incarnati di Davide, nel panneggio semplificato della manica della camicia bianca, nella stesura della lacca rossa del berretto di Gionatan come se si trattasse di uno smalto, nei riflessi sulle vesti di quest’ultimo con effetti di cangiante sul verde. Si tratta dell’appropriazione della tecnica pittorica per “zone cromatiche” di Tiziano a cui ben corrisponde la valorizzazione dei toni data non solo dalla luce radente, ma anche dalla luce naturale che promana dall’apertura paesaggistica, dal raccordo tra le nuvole di fondo attraversate dall’esile albero e la testa di Gionatan» e «si può avvertire in questo la sua attenzione rivolta anche allo stile di Palma il Vecchio» (Fossaluzza 2009, p. 4).
L’opera assume, per Fossaluzza, anche il ruolo di ulteriore conferma nella distinzione tra la produzione di Marconi e quella di un suo anonimo capace collaboratore: «A quest’ultima personalità - convenzionalmente denominata “pseudo Rocco Marconi”, che, è da sottolineare, non ha nulla di meno qualitativamente rispetto all’ultima fase del maestro stesso - sono state riconosciute ultimamente opere assai significative che un tempo facevano parte del catalogo del Marconi nella fase più matura, cioè negli ultimi anni Venti del Cinquecento. Il confronto tra la pala con il “Cristo e i santi Pietro e Andrea” della basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, l’unica pala d’altare firmata dal Marconi, assegnabile agli anni 1520-1525, e due altri dipinti d’altare piuttosto noti del suo catalogo: “I Santi Giovanni Battista, Nicola da Bari e Andrea Apostolo” dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera con data del 1530 (contenuta nell’iscrizione apocrifa) e il “Cristo e i santi Pietro e Giovanni Battista” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, rende evidente che si tratta di opere di due personalità distinte, ma strettamente legate dal punto di vista dello stile, come si trattasse di maestro e allievo. Tale proposta di distinzione di personalità avanzata da Dal Pozzolo (1997a) è sostenuta con altre motivazioni da Fossaluzza (Cfr. “L’eredità di Isabella. Indagine sul collezionismo privato nelle terre gonzaghesche”, catalogo della mostra a cura di C. Micheli, Mantova, Palazzo della ragione, 20 settembre-27 ottobre 2002, pp. 240-241 cat. 18) nell’occasione di assegnare allo “Pseudo Marconi” l’Adorazione dei magi su tavola di grandi dimensioni (cm 117x162), allora in collezione privata mantovana. Lo “Pseudo Marconi” si differenzia chiaramente dal maestro, tra l’altro, per un’esecutività più minuziosa, per certa insistenza descrittiva che riguarda le fisionomie come pure i panneggi» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
«Tenuto conto di questa problematica, richiamata per comodità e chiarezza in termini del tutto schematici, la paternità di Rocco Marconi anziché del suo emulo del “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si può fondare sul confronto privilegiato proprio con la pala firmata dei “Santi Giovanni e Paolo” in Venezia. Inoltre, una conferma si ricava guardando alle versioni firmate che affrontano il tema a lui congeniale del “Cristo e l’adultera”, realizzato a mezze figure come dipinto da stanza di grandi dimensioni: Coral Gables, University of Miami, Lowe Art Gallery; Venezia, Gallerie dell’Accademia; Saltsjöbaden, Collezione E. Warren (cfr. De Vecchi 1980, p. 357 fig.1, p. 358 fig. 3, p. 359 figg. 2 e 3). Si aggiunga il riferimento al “Cristo fra Marta e Maria”, pure firmato, San Pietroburgo, Ermitage (cfr. De Vecchi 1980, p. 358, fig. 5). Anche per questo gruppo di opere, come per le citate pale d’altare, è agevole distinguere la mano di Rocco Marconi da quella del suo emulo che ripete con varianti gli stessi soggetti. Tenuto conto di tale classificazione è indubbio che spetti a Marconi la versione del “Cristo fra Marta e Maria” del County Museum di Los Angeles (si veda immagine a piedi pagina), opera di alta qualità assegnabile agli anni Venti (Cfr. Berenson, 1957, II, fig. 908). È da ritenersi forse solo di poco successiva alla pala dei Santi Giovanni e Paolo. Si porta l’attenzione su quest’opera, in particolare, perché i riscontri con il “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si fanno quanto mai diretti. Si ponga a confronto la figura del giovanetto a capo scoperto alla destra di Cristo con quella di Gionatan. Corrisponde alla perfezione la sottolineatura dei tratti somatici attraverso la luce radente, certa compattezza della materia cromatica che distingue Rocco Marconi da altri maestri contemporanei che si avvalgono di un tonalismo più effusivo che, abbinato a un’inclinazione espressiva sentimentale, ha fatto meritare loro la qualifica di neogiorgioneschi, come ad esempio Paris Bordon e Bonifacio Veronese in fase giovanile» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
La tavola è stata sottoposta, nell’ottobre 2023, ad una serie di analisi scientifiche, a cura di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range spettrali, 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.) e infrarosso in falso colore. In particolare dalle riprese all’infrarosso non è emerso il disegno sottostante, salvo poche tracce attorno al naso di Golia. Al contrario i ripensamenti sono evidenti anche a occhio nudo dove la pellicola pittorica è consunta, ad esempio, nell’area delle mani. Entrambi gli elementi sono traccia di una esecuzione rapida e sicura, con le caratteristiche tipiche della invenzione originale.
Il dipinto in esame diviene così ad un tempo una testimonianza eccezionale dell’opera di Rocco Marconi, e della sua capacità di unire le esperienze della tarda bottega dei Bellini, la lezione di Giorgione e di Palma il Vecchio e le novità promosse da Tiziano, ponendosi nel crocevia tra le maggiori personalità dell’arte a Venezia nel primo quarto del XVI secolo.
Ringraziamo per il prezioso supporto nella schedatura i Professori Enrico Maria Dal Pozzolo e Anchise Tempestini.
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Olio su tavola
78,5 x 64,8 cm
Elementi distintivi:
al verso della cornice, sull’asse superiore, in pennarello nero «LK 1338»; sull’asse sinistro, di difficile lettura, in lapis, «156»; sull’angolo inferiore sinistro, etichetta quadrata bianca, in penna «338/2000». Sull’asse superiore del telaio, su un bollino rosso, in penna «106»; lungo l’asse sinistro etichetta stampata «...NSPEED LIMITED, ... SHOUSE WALK. SE11, ... none 020-7735 0566», «REF.», compilato in penna «2922», «Christie, old. Modern Masters, lot 106». Seguono tre etichette identiche stampate con codice a barre «1169 0313»
Provenienza:
Conolly family, Castletown, presso Celbridge nella contea di Killdare, Irlanda (1734-1960): probabilmente acquisito da Tom Conolly (1734-1803) nel 1758 durante il Grand Tour, passato per discendenza, attraverso il maggiore Edward Michael Conolly, C.M.G. (1874-1956), al nipote William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew, C.B.E. (1905-1994), figlio di Catherine, Lady Carew, née Conolly; Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (come Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (come «Venetian School, circa 1530»)
Bibliografia :
Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (Venetian School, circa 1530); E. M. Dal Pozzolo, "Quale religiosità in Giorgione?", in G. Cecchetto, a cura di, "Le tende cristiane nella Castellana", Atti del Convegno (Castelfranco Veneto, 11-18-25 novembre 1996), Castelfranco Veneto 1997, pp. 126-127, 137-138 note 34-35, p. 152, ill. 17 (Marconi, attribuito a); E. M. Dal Pozzolo, "Tra Cariani e Rocco Marconi", in "Venezia Cinquecento", VII, n. 13, gennaio-giugno 1997, p. 10 (Marconi); G. Fossaluzza, "Davide e Gionatan con la testa di Golia", in E. M. Dal Pozzolo, "Giorgione", Milano 2009, p. 207, ill. 173 (Marconi)
Esposizioni:
Londra, Royal Academy, Winter Exhibition, 1908, n. 29 (come “Early italian”); Dublino, National Gallery of Ireland, 1922; Robilant & Voena Milano-Londra, 2022
Certificati:
scheda di Giorgio Fossaluzza del settembre 2009 (in formato digitale)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 75% (almeno una giuntura verticale; leggera convessità; una lunga frattura verticale conseguente a pressione, senza rilevanti cadute pittoriche; fratture consolidate al margine inferiore; minori danni da tarli, di maggiore entità nell'angolo inferiore destro; tavola parchettata)
Condizione superficie: 70% (per alcuni millimetri nella parte superiore e a destra la tavola non è dipinta; leggeri rigonfiamenti, spari e stabilizzati, soprattutto nella metà superiore; cadute di colore diffuse e integrazioni anche sui volti, in misura minore sul volto centrale)
78,5 x 64,8 cm
Elementi distintivi:
al verso della cornice, sull’asse superiore, in pennarello nero «LK 1338»; sull’asse sinistro, di difficile lettura, in lapis, «156»; sull’angolo inferiore sinistro, etichetta quadrata bianca, in penna «338/2000». Sull’asse superiore del telaio, su un bollino rosso, in penna «106»; lungo l’asse sinistro etichetta stampata «...NSPEED LIMITED, ... SHOUSE WALK. SE11, ... none 020-7735 0566», «REF.», compilato in penna «2922», «Christie, old. Modern Masters, lot 106». Seguono tre etichette identiche stampate con codice a barre «1169 0313»
Provenienza:
Conolly family, Castletown, presso Celbridge nella contea di Killdare, Irlanda (1734-1960): probabilmente acquisito da Tom Conolly (1734-1803) nel 1758 durante il Grand Tour, passato per discendenza, attraverso il maggiore Edward Michael Conolly, C.M.G. (1874-1956), al nipote William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew, C.B.E. (1905-1994), figlio di Catherine, Lady Carew, née Conolly; Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (come Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (come «Venetian School, circa 1530»)
Bibliografia :
Christie’s, Londra, 25 novembre 1960, l. 27 (Giorgione); Christie’s, Londra, 9 luglio 2003, l. 106 (Venetian School, circa 1530); E. M. Dal Pozzolo, "Quale religiosità in Giorgione?", in G. Cecchetto, a cura di, "Le tende cristiane nella Castellana", Atti del Convegno (Castelfranco Veneto, 11-18-25 novembre 1996), Castelfranco Veneto 1997, pp. 126-127, 137-138 note 34-35, p. 152, ill. 17 (Marconi, attribuito a); E. M. Dal Pozzolo, "Tra Cariani e Rocco Marconi", in "Venezia Cinquecento", VII, n. 13, gennaio-giugno 1997, p. 10 (Marconi); G. Fossaluzza, "Davide e Gionatan con la testa di Golia", in E. M. Dal Pozzolo, "Giorgione", Milano 2009, p. 207, ill. 173 (Marconi)
Esposizioni:
Londra, Royal Academy, Winter Exhibition, 1908, n. 29 (come “Early italian”); Dublino, National Gallery of Ireland, 1922; Robilant & Voena Milano-Londra, 2022
Certificati:
scheda di Giorgio Fossaluzza del settembre 2009 (in formato digitale)
Stato di conservazione:
Condizione supporto: 75% (almeno una giuntura verticale; leggera convessità; una lunga frattura verticale conseguente a pressione, senza rilevanti cadute pittoriche; fratture consolidate al margine inferiore; minori danni da tarli, di maggiore entità nell'angolo inferiore destro; tavola parchettata)
Condizione superficie: 70% (per alcuni millimetri nella parte superiore e a destra la tavola non è dipinta; leggeri rigonfiamenti, spari e stabilizzati, soprattutto nella metà superiore; cadute di colore diffuse e integrazioni anche sui volti, in misura minore sul volto centrale)
La sala IX delle Gallerie dell’Accademia – la più importante collezione di arte veneziana e veneta dal XIV al XVIII secolo – è dedicata ai comprimari che, attivi anche in Terraferma, sulla scorta dei Bellini e di Palma il Vecchio e accanto a Tiziano, disegnano il nuovo panorama della pittura lagunare a inizio Cinquecento: Lorenzo Lotto, Palma il Vecchio e Rocco Marconi.
Proprio al catalogo di Rocco Marconi appartiene la «notevole tavola» in esame, «già in Inghilterra nella collezione Conolly, esibita nel 1908 alla Royal Academy di Londra e nel 1922 alla National Gallery of Ireland, e apparsa in asta – con l’attribuzione a Giorgione – a Londra nel 1960» (Dal Pozzolo 1997a).
Proprio dalla scheda di catalogo della esposizione alla Royal Academy, si apprende l’illustre provenienza collezionistica. Probabilmente acquistata in Italia nel 1758, durante il Grand Tour, da Tom Conolly (1734-1803), la tavola è rimasta fino al 1960 presso la dimora di famiglia a Castletown presso Celbridge, nella contea irlandese di Kildare, passando per via ereditaria fino a William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew (1905-1994), commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico e cavalliere del Venerabile ordine di San Giovanni. Castletown House, «la più ampia e la prima casa di campagna palladiana in Irlanda» (Christie’s 2003), «fu fatta costruire dal capostipite William Conolly (1662-1729), Presidente della Camera dei Comuni irlandese, a partire dal 1723 con l’apporto progettuale di Alessandro Galilei ed Edward Lovett Pearce. Tale residenza passò in eredità al pronipote Tom Conolly nel 1758. La decorazione interna della dimora, su progetto di William Chambers, venne realizzata tra il 1760 e il 1770, al tempo della consorte di Tom Conolly (1734-1802), Lady Louisa, figlia di Charles Lennox, 2° duca di Richmond e pronipote di Carlo II d’Inghilterra» (Fossaluzza 2009, p. 1).
La scoperta della corretta attribuzione della tavola si deve ad Anchise Tempestini - fototecario dal 1967 al 2003 del Kunsthistorisches Institut in Florenz Max-Planck-Gesellschaft e eminente studioso dei Bellini e della loro scuola - che a Rocco Marconi ha dedicato alcuni fondamentali contributi (inter alias, “Addenda to Rocco Marconi”, in “The Burlington Magazine”, CXVI (1974), 856, p. 391; “I pittori bergamaschi del primo Cinquecento”, in “Antichità viva”, XV (1976), pp. 57 s.; “La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516”, in “La pittura nel Veneto. Il Cinquecento”, Milano 1999, III, pp. 943, 946). Si trova infatti, sulla scheda 182715, inventariata da Ulrich Middeldorf come “Giorgione”, una sua annotazione a matita “Rocco Marconi (?) (AT)”, con biffatura del precedente riferimento.
Anchise Tempestivi ha confermato, in supporto alla presente catalogazione, che «il dipinto che raffigura David con la testa di Golia è sicuramente un'opera della maturità di Rocco Marconi, databile al 1525 circa» (comunicazione del 4 gennaio 2024).
Centrale per la datazione dell’opera è il rapporto con il “Compianto sul Cristo morto”, una pala (444x312 cm) che si trovava, fino alla soppressione napoleonica del 1810, nella chiesa di Santa Maria dei Servi ed è oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Essa è infatti attribuita da tutte le fonti storiche a Rocco Marconi, a partire da Marco Boschini («La tavola doppo l'altar de' Barbieri; dove è Cristo deposto di Croce, con le Marie, & un Santo Servita, con bellissimo paese, è tavola molto grande, e maestosa è la più bella che facesse Rocco Marconi», in “Le minere della pittura”, Venezia, edizioni del 1664 e 1674), seguito dalle guide storiche di Venezia di Domenico Martinelli (“Il ritratto di Venezia”, Venezia, 1684) e Antonio Maria Zanetti (“Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733”, Venezia, 1733; e “Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V”, Venezia, 1771), nonché da tutte le voci più autorevoli del XIX secolo, tra cui Appiani, Fumagalli, Edwards e Cicognara. La critica moderna – con importanti eccezioni – riferisce invece la pala a Giovanni Bellini (1427 o 1430 circa – 1516) e aiuti, datandola per lo più al 1515-1516. In favore di Marconi si sono espressi Bereson, per la piena autografia a Marconi nel 1895 (e per un’opera di collaborazione con Bellini nel 1919 - parere quest’ultimo seguito da Moschini Marconi nel 1955 e Gibbons nel 1962) -, Heinemann (1962) e Tempestini (2000, 2009).
Tempestini ha offerto un ulteriore affondo critico sul “Compianto” «un'opera inconfondibile di Rocco Marconi, pur se la storia dell'arte italiana del XX secolo la assegna sempre a Giovanni Bellini. Su questo dipinto Fritz Heinemann, 1962, I, p. 119, cat.S. 202, ha costruito una delle sue schede migliori, sostenendo il fatto che l'autore è attivo negli anni di Tiziano e di Palma il Vecchio, rilevando che è eseguito su tela, supporto che Giovanni Bellini adotta solo per le opere destinate al Palazzo Ducale e al Camerino d'alabastro di Alfonso I d'Este. Deve essere fatto risalire al 1525 circa» (comunicazione dell’8 gennaio 2024). Si trova così confermata, nella sua lettura, la datazione del dipinto in esame allo stesso anno.
In effetti, il trattamento dei volti maschili nella pala richiama quello della tavola, ed in particolare il Cristo deposto si lascia avvicinare al volto del ragazzo in armi.
Enrico Maria Dal Pozzolo – che ha riconfermato l’assegnazione dell’opera a Marconi nel corso della presente schedatura (comunicazione del 5 gennaio 2024) – nel renderla nota agli studi nel 2007, ha sottolineato che «una relazione strettissima, quasi simbiotica» tra Giovanni Bellini e Rocco Marconi «sarebbe ulteriormente attestata se davvero si dovesse a Rocco in prima persona la stesura di quel capolavoro che è il grande “Compianto sul Cristo morto”». A questo proposito, precisa lo specialista, che «Di certo, se un’ideazione belliniana è tutt’altro che escludibile, vista la grandiosità solenne dell’impianto e la sintonia con le coeve realizzazioni del maestro, molto difficilmente l’esecuzione tanto del paese quanto delle figure spetta a Giovanni, mentre a ben vedere svariati dettagli alludono con insistenza alla mano di Rocco. Un Rocco, però, enormemente cresciuto rispetto agli standards di partenza, e ormai accordato sulle prospettive della nuova pittura di Tiziano e Sebastiano, mentre brani come la testa di Maria ammettono la conoscenza di celebri prove giorgionesche (penso alla “Giuditta” dell’Ermitage e alle “Tre età” Pitti). D’altra parte tale allargamento dell’orizzonte ispirativo è confermato, non molto dopo il 1510 che si può supporre per il “Compianto”, da un pressoché inedito “David e Gionata” che discuto in altra sede, dove – dall’iconografia all’impianto, dal gioco di sguardi fino all’alberello in controluce – si dichiara palese la derivazione giorgionesca e prototizianesca e già un indubitabile contatto con Palma il Vecchio. Davvero a questo punto, e saremo forse sul 1515, Rocco non si precluse altre esperienze: basti considerare quanto la "Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Andrea" già sul mercato viennese ricordi certe creazioni di Altobello Melone, seppur interpretato in termini inequivocabilmente veneziani» (Dal Pozzolo 1997b, p. 10). In un secondo contributo di maggiore approfondimento sul dipinto in esame, pressoché contemporaneo, Dal Pozzolo, dopo aver ricordato il “David con la testa di Golia” al Kunsthistorisches Museum di Vienna, «[t]alora considerato un autografo giorgionesco, ma piuttosto di cerchia, e forse databile non troppo lungi dal 1510» ed altre fonti per questo soggetto nella produzione di Giorgione, richiama «la singolare fortuna iconografica di un tema – quello dell’invidia di Saul nell’accogliere il giovane eroe vittorioso – in cui l’accento è spostato dall’episodio ai conflittuali moti psicologici che lo accompagnano, risultando tra l’altro un po’ ambiguo nella presentazione dei personaggi». Segnala quindi come la tavola in esame possa essere traccia di un'alternativa soluzione iconografica, in cui, entro lo «affine impianto compositivo, la figura principale sembra troppo giovanile per credere che si tratti di Saul». Prendendo le mosse dalla attribuzione a Giorgione, con cui la tela in esame era apparsa in asta nel 1960, Dal Pozzolo avverte, che, per «quanto non sostenibile, il riferimento al maestro porta una qualche base di verità, trattandosi di cosa che ha tutta l’aria di spettare a Rocco Marconi, in una fase ‘giorgionesca’ segnata pure dal contatto con l’opera di Palma il Vecchio e del primo Tiziano, al punto da rendere non escludibile l’esistenza di un perduto prototipo». Lo studioso reinterpreta così il tema figurativo: «Imperniato sull’intenso gioco di sguardi tra i due personaggi, il dipinto probabilmente descrive il legame d’amicizia tra “David e Gionata”, figlio di Saul», anche se «non è certo che il maggiore in armi sia David» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127 e p. 127, n. 35). Il tema iconografico – al di fuori dei riferimenti a Giorgione – resta rarissimo, il che costituisce un ulteriore fattore di interesse della tavola in asta: infatti, «se è indubbio che l’episodio dell’uccisione di Golia ebbe qualche fortuna tra miniatori e incisori, e che – ad esempio – Jacopo Bellini nei suoi disegni a Londra e a Parigi lo replica per ben quattro volte, considerando le applicazioni pittoriche ci si imbatte in pochissimi casi isolati. [Oltre alla tavola in esame, un] dipinto della bottega di Mantegna al Kunsthistorisches Museum di Vienna (pendant a un Sacrificio di Isacco) e una tavola di Cima da Conegliano alla National Gallery di Londra con David e Gionata, peraltro non immune al sospetto di un influsso giorgionesco. […] Poi – apparentemente – nulla: nessun pezzo nei cataloghi di Giovanni e Gentile Bellini, di Carpaccio, di Bartolomeo Montagna, del Buonconsiglio, di Diana, e, prima ancora, dei tre Vivarini, di Antonello, Pisanello, Gentile da Fabriano ecc. E se con pazienza si scorrono gli “Indici” delle pitture venete del Rinascimento redatti da Berenson o il repertorio belliniano di Heinemann, con migliaia di pezzi schedati, non si recupera alcuna segnalazione» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127).
Sul piano stilistico, Dal Pozzolo sottolinea che «il modulo con la testa di David suggerisce il confronto con vari esempi di Palma il Vecchio: ad esempio con la Madonna nella tavola della Galleria Colonna a Roma e con il pastore inginocchiato nella Pala di Zogno, che dovrebbero cadere non lungi dalla metà del secondo decennio (cfr. Ph. Rylands, “Palma il Vecchio. L’opera completa”, Milano, 1988, pp. 205, 209». Sul rapporto con un prototipo Giorgionesco, lo studioso precisa che «non si può affermare con sicurezza» «che il dipinto derivi da un perduto originale di Giorgione o del primo Tiziano»: «tuttavia è innegabile che la matrice culturale dell’opera sia da riconoscersi nella produzione della cerchia giorgionesca degli ultimi anni del primo decennio del secolo, in particolare del giovane Tiziano. Infatti il senso dello sguardo dei due protagonisti e dell’albero sullo sfondo si chiarisce alla luce del concerto campestre del Louvre» (Dal Pozzolo 1997a, p. 127, n. 35).
Anche Giorgio Fossaluzza si è espresso in favore della piena attribuzione della tavola in esame a Rocco Marconi, sia in una scheda critica redatta nel 2009, sia nel corpus del corpo catalogico di Giorgione, apparso nel 2009 per cura di Enrico Maria Dal Pozzolo: «Per quanto riguarda l’attribuzione del dipinto si coglie questa occasione, e la fortunata possibilità dell’esame diretto dell’opera, per sciogliere ogni riserva circa il riferimento a Rocco Marconi. Si sottolinea il fatto che viene così ad aggiungersi al catalogo delle opere autografe del maestro, di certo piuttosto esiguo, un esempio affatto raro dal punto di vista ideativo.»
Fossaluzza inquadra prima di tutto il soggetto, alla luce della fonte biblica, offrendo anche una interpretazione etico-politica della scena, «da leggere in chiave antitirannica»: «Davide è presentato sulla destra in armatura mentre trattiene l’enorme spada e si rivolge a Gionatan che assicura in equilibrio sul davanzale la testa mozzata del gigante Golia afferrandola per i capelli. Come noto, il pastore Davide, “fulvo di capelli e di bell’aspetto”, era entrato a servizio di re Saul come scudiero. Aveva accettato la sfida del gigante filisteo che terrorizzava il popolo ebreo. Con l’aiuto di dio lo sconfigge tramortendolo con un sasso lanciato con la fionda per poi decapitarlo con la sua stessa spada. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e, in particolare, gli valse l’amicizia di Gionatan, il figlio maggiore e il favorito di re Saul. Dal testo biblico sono presentati entrambi come coraggiosi guerrieri e devoti servitori di Dio; i due “conducevano un patto d’amicizia. Gionatan capiva che Davide aveva lo spirito di Dio” (1 Sa 18.1). Il momento di intenso colloquio tra i due giovani, lo sguardo volitivo di Davide, trovano in queste osservazioni del testo biblico, da non trascurarsi, l’interpretazione più aderente: si esprime l’ammirazione, l’intuizione del mandato divino che muove l’atto eroico compiuto. Davide dimostra capacità individuali insospettate, la sua prova è capace di donare la libertà al suo popolo» (Fossaluzza 2009, p. 3).
Riprendendo una ipotesi avanzata anche da Dal Pozzolo, Fossaluzza ricorda, tra le altre, una versione del “Davide con la testa di Golia”, di Giorgione, - in cui è Davide in armatura a tenere la testa di Golia - che si trovava in collezione Vendramin a Venezia documentata nei disegni di un taccuino secentesco che riproduceva la quadreria (cfr. T. Borenius, “The picture Gallery of Andrea Vendramin”, London 1923, pp. 22-24, tav. 3): «Vi sono quindi motivi per ritenere che il dipinto in oggetto possa derivare, o meglio, possa elaborare un modello spettante a Giorgione o alla sua cerchia, diverso da quello che presenta il solo Davide con la testa di Golia. Il taglio compositivo, la presenza del davanzale in primo piano, la resa del movimento bloccato delle figure trovano corrispondenza in ogni caso nei modelli di Giorgione e del suo ambito, con riferimento anche a quello Vendramin. Il rapporto tra fondale architettonico a destra e apertura paesaggistica a sinistra si deve ritenere, invece, ispirato a composizioni attestate soprattutto in fase immediatamente successiva a Giorgione e messe in voga soprattutto dal giovane Tiziano».
Lo studioso data l’opera più avanti rispetto a Dal Pozzolo (1515 circa) e poco prima di Tempestini (1525 circa): «si ha motivo di ritenere l’opera spettante alla fase di Marconi che corrisponde ai primissimi anni Venti, avendo a riferimento gli esempi sicuri e più rappresentativi riconosciuti al maestro veneziano». «Le peculiarità esecutive che Rocco Marconi dimostra in questo specifico momento si colgono anche nella resa levigata degli incarnati di Davide, nel panneggio semplificato della manica della camicia bianca, nella stesura della lacca rossa del berretto di Gionatan come se si trattasse di uno smalto, nei riflessi sulle vesti di quest’ultimo con effetti di cangiante sul verde. Si tratta dell’appropriazione della tecnica pittorica per “zone cromatiche” di Tiziano a cui ben corrisponde la valorizzazione dei toni data non solo dalla luce radente, ma anche dalla luce naturale che promana dall’apertura paesaggistica, dal raccordo tra le nuvole di fondo attraversate dall’esile albero e la testa di Gionatan» e «si può avvertire in questo la sua attenzione rivolta anche allo stile di Palma il Vecchio» (Fossaluzza 2009, p. 4).
L’opera assume, per Fossaluzza, anche il ruolo di ulteriore conferma nella distinzione tra la produzione di Marconi e quella di un suo anonimo capace collaboratore: «A quest’ultima personalità - convenzionalmente denominata “pseudo Rocco Marconi”, che, è da sottolineare, non ha nulla di meno qualitativamente rispetto all’ultima fase del maestro stesso - sono state riconosciute ultimamente opere assai significative che un tempo facevano parte del catalogo del Marconi nella fase più matura, cioè negli ultimi anni Venti del Cinquecento. Il confronto tra la pala con il “Cristo e i santi Pietro e Andrea” della basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, l’unica pala d’altare firmata dal Marconi, assegnabile agli anni 1520-1525, e due altri dipinti d’altare piuttosto noti del suo catalogo: “I Santi Giovanni Battista, Nicola da Bari e Andrea Apostolo” dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera con data del 1530 (contenuta nell’iscrizione apocrifa) e il “Cristo e i santi Pietro e Giovanni Battista” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, rende evidente che si tratta di opere di due personalità distinte, ma strettamente legate dal punto di vista dello stile, come si trattasse di maestro e allievo. Tale proposta di distinzione di personalità avanzata da Dal Pozzolo (1997a) è sostenuta con altre motivazioni da Fossaluzza (Cfr. “L’eredità di Isabella. Indagine sul collezionismo privato nelle terre gonzaghesche”, catalogo della mostra a cura di C. Micheli, Mantova, Palazzo della ragione, 20 settembre-27 ottobre 2002, pp. 240-241 cat. 18) nell’occasione di assegnare allo “Pseudo Marconi” l’Adorazione dei magi su tavola di grandi dimensioni (cm 117x162), allora in collezione privata mantovana. Lo “Pseudo Marconi” si differenzia chiaramente dal maestro, tra l’altro, per un’esecutività più minuziosa, per certa insistenza descrittiva che riguarda le fisionomie come pure i panneggi» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
«Tenuto conto di questa problematica, richiamata per comodità e chiarezza in termini del tutto schematici, la paternità di Rocco Marconi anziché del suo emulo del “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si può fondare sul confronto privilegiato proprio con la pala firmata dei “Santi Giovanni e Paolo” in Venezia. Inoltre, una conferma si ricava guardando alle versioni firmate che affrontano il tema a lui congeniale del “Cristo e l’adultera”, realizzato a mezze figure come dipinto da stanza di grandi dimensioni: Coral Gables, University of Miami, Lowe Art Gallery; Venezia, Gallerie dell’Accademia; Saltsjöbaden, Collezione E. Warren (cfr. De Vecchi 1980, p. 357 fig.1, p. 358 fig. 3, p. 359 figg. 2 e 3). Si aggiunga il riferimento al “Cristo fra Marta e Maria”, pure firmato, San Pietroburgo, Ermitage (cfr. De Vecchi 1980, p. 358, fig. 5). Anche per questo gruppo di opere, come per le citate pale d’altare, è agevole distinguere la mano di Rocco Marconi da quella del suo emulo che ripete con varianti gli stessi soggetti. Tenuto conto di tale classificazione è indubbio che spetti a Marconi la versione del “Cristo fra Marta e Maria” del County Museum di Los Angeles (si veda immagine a piedi pagina), opera di alta qualità assegnabile agli anni Venti (Cfr. Berenson, 1957, II, fig. 908). È da ritenersi forse solo di poco successiva alla pala dei Santi Giovanni e Paolo. Si porta l’attenzione su quest’opera, in particolare, perché i riscontri con il “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si fanno quanto mai diretti. Si ponga a confronto la figura del giovanetto a capo scoperto alla destra di Cristo con quella di Gionatan. Corrisponde alla perfezione la sottolineatura dei tratti somatici attraverso la luce radente, certa compattezza della materia cromatica che distingue Rocco Marconi da altri maestri contemporanei che si avvalgono di un tonalismo più effusivo che, abbinato a un’inclinazione espressiva sentimentale, ha fatto meritare loro la qualifica di neogiorgioneschi, come ad esempio Paris Bordon e Bonifacio Veronese in fase giovanile» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
La tavola è stata sottoposta, nell’ottobre 2023, ad una serie di analisi scientifiche, a cura di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range spettrali, 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.) e infrarosso in falso colore. In particolare dalle riprese all’infrarosso non è emerso il disegno sottostante, salvo poche tracce attorno al naso di Golia. Al contrario i ripensamenti sono evidenti anche a occhio nudo dove la pellicola pittorica è consunta, ad esempio, nell’area delle mani. Entrambi gli elementi sono traccia di una esecuzione rapida e sicura, con le caratteristiche tipiche della invenzione originale.
Il dipinto in esame diviene così ad un tempo una testimonianza eccezionale dell’opera di Rocco Marconi, e della sua capacità di unire le esperienze della tarda bottega dei Bellini, la lezione di Giorgione e di Palma il Vecchio e le novità promosse da Tiziano, ponendosi nel crocevia tra le maggiori personalità dell’arte a Venezia nel primo quarto del XVI secolo.
Ringraziamo per il prezioso supporto nella schedatura i Professori Enrico Maria Dal Pozzolo e Anchise Tempestini.
Proprio al catalogo di Rocco Marconi appartiene la «notevole tavola» in esame, «già in Inghilterra nella collezione Conolly, esibita nel 1908 alla Royal Academy di Londra e nel 1922 alla National Gallery of Ireland, e apparsa in asta – con l’attribuzione a Giorgione – a Londra nel 1960» (Dal Pozzolo 1997a).
Proprio dalla scheda di catalogo della esposizione alla Royal Academy, si apprende l’illustre provenienza collezionistica. Probabilmente acquistata in Italia nel 1758, durante il Grand Tour, da Tom Conolly (1734-1803), la tavola è rimasta fino al 1960 presso la dimora di famiglia a Castletown presso Celbridge, nella contea irlandese di Kildare, passando per via ereditaria fino a William Francis Conolly-Carew, sesto Barone Carew (1905-1994), commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico e cavalliere del Venerabile ordine di San Giovanni. Castletown House, «la più ampia e la prima casa di campagna palladiana in Irlanda» (Christie’s 2003), «fu fatta costruire dal capostipite William Conolly (1662-1729), Presidente della Camera dei Comuni irlandese, a partire dal 1723 con l’apporto progettuale di Alessandro Galilei ed Edward Lovett Pearce. Tale residenza passò in eredità al pronipote Tom Conolly nel 1758. La decorazione interna della dimora, su progetto di William Chambers, venne realizzata tra il 1760 e il 1770, al tempo della consorte di Tom Conolly (1734-1802), Lady Louisa, figlia di Charles Lennox, 2° duca di Richmond e pronipote di Carlo II d’Inghilterra» (Fossaluzza 2009, p. 1).
La scoperta della corretta attribuzione della tavola si deve ad Anchise Tempestini - fototecario dal 1967 al 2003 del Kunsthistorisches Institut in Florenz Max-Planck-Gesellschaft e eminente studioso dei Bellini e della loro scuola - che a Rocco Marconi ha dedicato alcuni fondamentali contributi (inter alias, “Addenda to Rocco Marconi”, in “The Burlington Magazine”, CXVI (1974), 856, p. 391; “I pittori bergamaschi del primo Cinquecento”, in “Antichità viva”, XV (1976), pp. 57 s.; “La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516”, in “La pittura nel Veneto. Il Cinquecento”, Milano 1999, III, pp. 943, 946). Si trova infatti, sulla scheda 182715, inventariata da Ulrich Middeldorf come “Giorgione”, una sua annotazione a matita “Rocco Marconi (?) (AT)”, con biffatura del precedente riferimento.
Anchise Tempestivi ha confermato, in supporto alla presente catalogazione, che «il dipinto che raffigura David con la testa di Golia è sicuramente un'opera della maturità di Rocco Marconi, databile al 1525 circa» (comunicazione del 4 gennaio 2024).
Centrale per la datazione dell’opera è il rapporto con il “Compianto sul Cristo morto”, una pala (444x312 cm) che si trovava, fino alla soppressione napoleonica del 1810, nella chiesa di Santa Maria dei Servi ed è oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Essa è infatti attribuita da tutte le fonti storiche a Rocco Marconi, a partire da Marco Boschini («La tavola doppo l'altar de' Barbieri; dove è Cristo deposto di Croce, con le Marie, & un Santo Servita, con bellissimo paese, è tavola molto grande, e maestosa è la più bella che facesse Rocco Marconi», in “Le minere della pittura”, Venezia, edizioni del 1664 e 1674), seguito dalle guide storiche di Venezia di Domenico Martinelli (“Il ritratto di Venezia”, Venezia, 1684) e Antonio Maria Zanetti (“Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733”, Venezia, 1733; e “Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V”, Venezia, 1771), nonché da tutte le voci più autorevoli del XIX secolo, tra cui Appiani, Fumagalli, Edwards e Cicognara. La critica moderna – con importanti eccezioni – riferisce invece la pala a Giovanni Bellini (1427 o 1430 circa – 1516) e aiuti, datandola per lo più al 1515-1516. In favore di Marconi si sono espressi Bereson, per la piena autografia a Marconi nel 1895 (e per un’opera di collaborazione con Bellini nel 1919 - parere quest’ultimo seguito da Moschini Marconi nel 1955 e Gibbons nel 1962) -, Heinemann (1962) e Tempestini (2000, 2009).
Tempestini ha offerto un ulteriore affondo critico sul “Compianto” «un'opera inconfondibile di Rocco Marconi, pur se la storia dell'arte italiana del XX secolo la assegna sempre a Giovanni Bellini. Su questo dipinto Fritz Heinemann, 1962, I, p. 119, cat.S. 202, ha costruito una delle sue schede migliori, sostenendo il fatto che l'autore è attivo negli anni di Tiziano e di Palma il Vecchio, rilevando che è eseguito su tela, supporto che Giovanni Bellini adotta solo per le opere destinate al Palazzo Ducale e al Camerino d'alabastro di Alfonso I d'Este. Deve essere fatto risalire al 1525 circa» (comunicazione dell’8 gennaio 2024). Si trova così confermata, nella sua lettura, la datazione del dipinto in esame allo stesso anno.
In effetti, il trattamento dei volti maschili nella pala richiama quello della tavola, ed in particolare il Cristo deposto si lascia avvicinare al volto del ragazzo in armi.
Enrico Maria Dal Pozzolo – che ha riconfermato l’assegnazione dell’opera a Marconi nel corso della presente schedatura (comunicazione del 5 gennaio 2024) – nel renderla nota agli studi nel 2007, ha sottolineato che «una relazione strettissima, quasi simbiotica» tra Giovanni Bellini e Rocco Marconi «sarebbe ulteriormente attestata se davvero si dovesse a Rocco in prima persona la stesura di quel capolavoro che è il grande “Compianto sul Cristo morto”». A questo proposito, precisa lo specialista, che «Di certo, se un’ideazione belliniana è tutt’altro che escludibile, vista la grandiosità solenne dell’impianto e la sintonia con le coeve realizzazioni del maestro, molto difficilmente l’esecuzione tanto del paese quanto delle figure spetta a Giovanni, mentre a ben vedere svariati dettagli alludono con insistenza alla mano di Rocco. Un Rocco, però, enormemente cresciuto rispetto agli standards di partenza, e ormai accordato sulle prospettive della nuova pittura di Tiziano e Sebastiano, mentre brani come la testa di Maria ammettono la conoscenza di celebri prove giorgionesche (penso alla “Giuditta” dell’Ermitage e alle “Tre età” Pitti). D’altra parte tale allargamento dell’orizzonte ispirativo è confermato, non molto dopo il 1510 che si può supporre per il “Compianto”, da un pressoché inedito “David e Gionata” che discuto in altra sede, dove – dall’iconografia all’impianto, dal gioco di sguardi fino all’alberello in controluce – si dichiara palese la derivazione giorgionesca e prototizianesca e già un indubitabile contatto con Palma il Vecchio. Davvero a questo punto, e saremo forse sul 1515, Rocco non si precluse altre esperienze: basti considerare quanto la "Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Andrea" già sul mercato viennese ricordi certe creazioni di Altobello Melone, seppur interpretato in termini inequivocabilmente veneziani» (Dal Pozzolo 1997b, p. 10). In un secondo contributo di maggiore approfondimento sul dipinto in esame, pressoché contemporaneo, Dal Pozzolo, dopo aver ricordato il “David con la testa di Golia” al Kunsthistorisches Museum di Vienna, «[t]alora considerato un autografo giorgionesco, ma piuttosto di cerchia, e forse databile non troppo lungi dal 1510» ed altre fonti per questo soggetto nella produzione di Giorgione, richiama «la singolare fortuna iconografica di un tema – quello dell’invidia di Saul nell’accogliere il giovane eroe vittorioso – in cui l’accento è spostato dall’episodio ai conflittuali moti psicologici che lo accompagnano, risultando tra l’altro un po’ ambiguo nella presentazione dei personaggi». Segnala quindi come la tavola in esame possa essere traccia di un'alternativa soluzione iconografica, in cui, entro lo «affine impianto compositivo, la figura principale sembra troppo giovanile per credere che si tratti di Saul». Prendendo le mosse dalla attribuzione a Giorgione, con cui la tela in esame era apparsa in asta nel 1960, Dal Pozzolo avverte, che, per «quanto non sostenibile, il riferimento al maestro porta una qualche base di verità, trattandosi di cosa che ha tutta l’aria di spettare a Rocco Marconi, in una fase ‘giorgionesca’ segnata pure dal contatto con l’opera di Palma il Vecchio e del primo Tiziano, al punto da rendere non escludibile l’esistenza di un perduto prototipo». Lo studioso reinterpreta così il tema figurativo: «Imperniato sull’intenso gioco di sguardi tra i due personaggi, il dipinto probabilmente descrive il legame d’amicizia tra “David e Gionata”, figlio di Saul», anche se «non è certo che il maggiore in armi sia David» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127 e p. 127, n. 35). Il tema iconografico – al di fuori dei riferimenti a Giorgione – resta rarissimo, il che costituisce un ulteriore fattore di interesse della tavola in asta: infatti, «se è indubbio che l’episodio dell’uccisione di Golia ebbe qualche fortuna tra miniatori e incisori, e che – ad esempio – Jacopo Bellini nei suoi disegni a Londra e a Parigi lo replica per ben quattro volte, considerando le applicazioni pittoriche ci si imbatte in pochissimi casi isolati. [Oltre alla tavola in esame, un] dipinto della bottega di Mantegna al Kunsthistorisches Museum di Vienna (pendant a un Sacrificio di Isacco) e una tavola di Cima da Conegliano alla National Gallery di Londra con David e Gionata, peraltro non immune al sospetto di un influsso giorgionesco. […] Poi – apparentemente – nulla: nessun pezzo nei cataloghi di Giovanni e Gentile Bellini, di Carpaccio, di Bartolomeo Montagna, del Buonconsiglio, di Diana, e, prima ancora, dei tre Vivarini, di Antonello, Pisanello, Gentile da Fabriano ecc. E se con pazienza si scorrono gli “Indici” delle pitture venete del Rinascimento redatti da Berenson o il repertorio belliniano di Heinemann, con migliaia di pezzi schedati, non si recupera alcuna segnalazione» (Dal Pozzolo 1997a, pp. 126-127).
Sul piano stilistico, Dal Pozzolo sottolinea che «il modulo con la testa di David suggerisce il confronto con vari esempi di Palma il Vecchio: ad esempio con la Madonna nella tavola della Galleria Colonna a Roma e con il pastore inginocchiato nella Pala di Zogno, che dovrebbero cadere non lungi dalla metà del secondo decennio (cfr. Ph. Rylands, “Palma il Vecchio. L’opera completa”, Milano, 1988, pp. 205, 209». Sul rapporto con un prototipo Giorgionesco, lo studioso precisa che «non si può affermare con sicurezza» «che il dipinto derivi da un perduto originale di Giorgione o del primo Tiziano»: «tuttavia è innegabile che la matrice culturale dell’opera sia da riconoscersi nella produzione della cerchia giorgionesca degli ultimi anni del primo decennio del secolo, in particolare del giovane Tiziano. Infatti il senso dello sguardo dei due protagonisti e dell’albero sullo sfondo si chiarisce alla luce del concerto campestre del Louvre» (Dal Pozzolo 1997a, p. 127, n. 35).
Anche Giorgio Fossaluzza si è espresso in favore della piena attribuzione della tavola in esame a Rocco Marconi, sia in una scheda critica redatta nel 2009, sia nel corpus del corpo catalogico di Giorgione, apparso nel 2009 per cura di Enrico Maria Dal Pozzolo: «Per quanto riguarda l’attribuzione del dipinto si coglie questa occasione, e la fortunata possibilità dell’esame diretto dell’opera, per sciogliere ogni riserva circa il riferimento a Rocco Marconi. Si sottolinea il fatto che viene così ad aggiungersi al catalogo delle opere autografe del maestro, di certo piuttosto esiguo, un esempio affatto raro dal punto di vista ideativo.»
Fossaluzza inquadra prima di tutto il soggetto, alla luce della fonte biblica, offrendo anche una interpretazione etico-politica della scena, «da leggere in chiave antitirannica»: «Davide è presentato sulla destra in armatura mentre trattiene l’enorme spada e si rivolge a Gionatan che assicura in equilibrio sul davanzale la testa mozzata del gigante Golia afferrandola per i capelli. Come noto, il pastore Davide, “fulvo di capelli e di bell’aspetto”, era entrato a servizio di re Saul come scudiero. Aveva accettato la sfida del gigante filisteo che terrorizzava il popolo ebreo. Con l’aiuto di dio lo sconfigge tramortendolo con un sasso lanciato con la fionda per poi decapitarlo con la sua stessa spada. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e, in particolare, gli valse l’amicizia di Gionatan, il figlio maggiore e il favorito di re Saul. Dal testo biblico sono presentati entrambi come coraggiosi guerrieri e devoti servitori di Dio; i due “conducevano un patto d’amicizia. Gionatan capiva che Davide aveva lo spirito di Dio” (1 Sa 18.1). Il momento di intenso colloquio tra i due giovani, lo sguardo volitivo di Davide, trovano in queste osservazioni del testo biblico, da non trascurarsi, l’interpretazione più aderente: si esprime l’ammirazione, l’intuizione del mandato divino che muove l’atto eroico compiuto. Davide dimostra capacità individuali insospettate, la sua prova è capace di donare la libertà al suo popolo» (Fossaluzza 2009, p. 3).
Riprendendo una ipotesi avanzata anche da Dal Pozzolo, Fossaluzza ricorda, tra le altre, una versione del “Davide con la testa di Golia”, di Giorgione, - in cui è Davide in armatura a tenere la testa di Golia - che si trovava in collezione Vendramin a Venezia documentata nei disegni di un taccuino secentesco che riproduceva la quadreria (cfr. T. Borenius, “The picture Gallery of Andrea Vendramin”, London 1923, pp. 22-24, tav. 3): «Vi sono quindi motivi per ritenere che il dipinto in oggetto possa derivare, o meglio, possa elaborare un modello spettante a Giorgione o alla sua cerchia, diverso da quello che presenta il solo Davide con la testa di Golia. Il taglio compositivo, la presenza del davanzale in primo piano, la resa del movimento bloccato delle figure trovano corrispondenza in ogni caso nei modelli di Giorgione e del suo ambito, con riferimento anche a quello Vendramin. Il rapporto tra fondale architettonico a destra e apertura paesaggistica a sinistra si deve ritenere, invece, ispirato a composizioni attestate soprattutto in fase immediatamente successiva a Giorgione e messe in voga soprattutto dal giovane Tiziano».
Lo studioso data l’opera più avanti rispetto a Dal Pozzolo (1515 circa) e poco prima di Tempestini (1525 circa): «si ha motivo di ritenere l’opera spettante alla fase di Marconi che corrisponde ai primissimi anni Venti, avendo a riferimento gli esempi sicuri e più rappresentativi riconosciuti al maestro veneziano». «Le peculiarità esecutive che Rocco Marconi dimostra in questo specifico momento si colgono anche nella resa levigata degli incarnati di Davide, nel panneggio semplificato della manica della camicia bianca, nella stesura della lacca rossa del berretto di Gionatan come se si trattasse di uno smalto, nei riflessi sulle vesti di quest’ultimo con effetti di cangiante sul verde. Si tratta dell’appropriazione della tecnica pittorica per “zone cromatiche” di Tiziano a cui ben corrisponde la valorizzazione dei toni data non solo dalla luce radente, ma anche dalla luce naturale che promana dall’apertura paesaggistica, dal raccordo tra le nuvole di fondo attraversate dall’esile albero e la testa di Gionatan» e «si può avvertire in questo la sua attenzione rivolta anche allo stile di Palma il Vecchio» (Fossaluzza 2009, p. 4).
L’opera assume, per Fossaluzza, anche il ruolo di ulteriore conferma nella distinzione tra la produzione di Marconi e quella di un suo anonimo capace collaboratore: «A quest’ultima personalità - convenzionalmente denominata “pseudo Rocco Marconi”, che, è da sottolineare, non ha nulla di meno qualitativamente rispetto all’ultima fase del maestro stesso - sono state riconosciute ultimamente opere assai significative che un tempo facevano parte del catalogo del Marconi nella fase più matura, cioè negli ultimi anni Venti del Cinquecento. Il confronto tra la pala con il “Cristo e i santi Pietro e Andrea” della basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, l’unica pala d’altare firmata dal Marconi, assegnabile agli anni 1520-1525, e due altri dipinti d’altare piuttosto noti del suo catalogo: “I Santi Giovanni Battista, Nicola da Bari e Andrea Apostolo” dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera con data del 1530 (contenuta nell’iscrizione apocrifa) e il “Cristo e i santi Pietro e Giovanni Battista” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, rende evidente che si tratta di opere di due personalità distinte, ma strettamente legate dal punto di vista dello stile, come si trattasse di maestro e allievo. Tale proposta di distinzione di personalità avanzata da Dal Pozzolo (1997a) è sostenuta con altre motivazioni da Fossaluzza (Cfr. “L’eredità di Isabella. Indagine sul collezionismo privato nelle terre gonzaghesche”, catalogo della mostra a cura di C. Micheli, Mantova, Palazzo della ragione, 20 settembre-27 ottobre 2002, pp. 240-241 cat. 18) nell’occasione di assegnare allo “Pseudo Marconi” l’Adorazione dei magi su tavola di grandi dimensioni (cm 117x162), allora in collezione privata mantovana. Lo “Pseudo Marconi” si differenzia chiaramente dal maestro, tra l’altro, per un’esecutività più minuziosa, per certa insistenza descrittiva che riguarda le fisionomie come pure i panneggi» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
«Tenuto conto di questa problematica, richiamata per comodità e chiarezza in termini del tutto schematici, la paternità di Rocco Marconi anziché del suo emulo del “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si può fondare sul confronto privilegiato proprio con la pala firmata dei “Santi Giovanni e Paolo” in Venezia. Inoltre, una conferma si ricava guardando alle versioni firmate che affrontano il tema a lui congeniale del “Cristo e l’adultera”, realizzato a mezze figure come dipinto da stanza di grandi dimensioni: Coral Gables, University of Miami, Lowe Art Gallery; Venezia, Gallerie dell’Accademia; Saltsjöbaden, Collezione E. Warren (cfr. De Vecchi 1980, p. 357 fig.1, p. 358 fig. 3, p. 359 figg. 2 e 3). Si aggiunga il riferimento al “Cristo fra Marta e Maria”, pure firmato, San Pietroburgo, Ermitage (cfr. De Vecchi 1980, p. 358, fig. 5). Anche per questo gruppo di opere, come per le citate pale d’altare, è agevole distinguere la mano di Rocco Marconi da quella del suo emulo che ripete con varianti gli stessi soggetti. Tenuto conto di tale classificazione è indubbio che spetti a Marconi la versione del “Cristo fra Marta e Maria” del County Museum di Los Angeles (si veda immagine a piedi pagina), opera di alta qualità assegnabile agli anni Venti (Cfr. Berenson, 1957, II, fig. 908). È da ritenersi forse solo di poco successiva alla pala dei Santi Giovanni e Paolo. Si porta l’attenzione su quest’opera, in particolare, perché i riscontri con il “Davide e Gionatan con la testa di Golia” si fanno quanto mai diretti. Si ponga a confronto la figura del giovanetto a capo scoperto alla destra di Cristo con quella di Gionatan. Corrisponde alla perfezione la sottolineatura dei tratti somatici attraverso la luce radente, certa compattezza della materia cromatica che distingue Rocco Marconi da altri maestri contemporanei che si avvalgono di un tonalismo più effusivo che, abbinato a un’inclinazione espressiva sentimentale, ha fatto meritare loro la qualifica di neogiorgioneschi, come ad esempio Paris Bordon e Bonifacio Veronese in fase giovanile» (Fossaluzza 2009, pp. 2-3).
La tavola è stata sottoposta, nell’ottobre 2023, ad una serie di analisi scientifiche, a cura di Gianluca Poldi: riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali (range spettrali, 850-1000 nm ca. e 1060-1080 nm ca.) e infrarosso in falso colore. In particolare dalle riprese all’infrarosso non è emerso il disegno sottostante, salvo poche tracce attorno al naso di Golia. Al contrario i ripensamenti sono evidenti anche a occhio nudo dove la pellicola pittorica è consunta, ad esempio, nell’area delle mani. Entrambi gli elementi sono traccia di una esecuzione rapida e sicura, con le caratteristiche tipiche della invenzione originale.
Il dipinto in esame diviene così ad un tempo una testimonianza eccezionale dell’opera di Rocco Marconi, e della sua capacità di unire le esperienze della tarda bottega dei Bellini, la lezione di Giorgione e di Palma il Vecchio e le novità promosse da Tiziano, ponendosi nel crocevia tra le maggiori personalità dell’arte a Venezia nel primo quarto del XVI secolo.
Ringraziamo per il prezioso supporto nella schedatura i Professori Enrico Maria Dal Pozzolo e Anchise Tempestini.
L'asta include 100 lotti di varie provenienze, tra cui Veneto Banca SpA in LCA.
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