Lotti Bonino

Lot 245

DOMENICO INDUNO (1815 – 1878)

Posa della prima pietra della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, 1865-1867

Stima €250000 - €350000
Lotto aggiudicato a € 37500.00
Managed by:
FALLIMENTO N. 249 2015 DI E 2 GAS & POWER SPA
Storage point:
Vicenza, IT
Olio su tela
134x226 cm

Bibliografia :

Giorgio Nicodemi - Enrico Somarè, "Dipinti di Gerolamo e Domenico
Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla Galleria dell’Arte
e dell’Esame nel Castello Sforzesco
", Milano, 1933;
Giorgio Nicodemi, "Domenico e Girolamo Induno", Milano, 1945,
n. 90 ill. b/n (con didascalia erronea);
Laura Casone, Scheda catalografica SIRBeC AFRLIMM -
IMM-3a090-0000438, per l’immagine di Dino Zani

Esposizioni:
Esposizioni:
Roma, Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Mostra dell’Ottocento, febbraio - marzo 1930, n. 1
Milano, Castello Sforzesco, Retrospettiva di Domenico e Gerolamo Induno, maggio 1933, n. 15

Condizioni supporto: 70% (tela di rifodero; due punti di sutura)
Condizioni superficie: 75% (cadute di colore, integrazioni; al verso macchie di pittura da muro)

Numero componenti lotto: 1
L’opera è di grande rilievo nella pittura dell’Ottocento italiano sia per i richiami al realismo sia per l’evidente influsso degli impressionisti.
Lo stato conservativo è prossimo a quello di inizio Novecento, come testimonia una foto di Dino Zani, scattata presso la collezione Antonini di Monza tra il 1924 e il 1933, oggi conservata presso le Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche del Comune di Milano, e che fu probabilmente utilizzata da Giorgio Nicodemi, allora direttore dei Musei d’Arte di Milano, in preparazione della retrospettiva del 1933. Prima di entrare a far parte della collezione Antonini, la tela era custodita in casa Girompini a Milano (come documenta una fotografia di Emilio Sommariva).
Fernando Mazzocca ha verificato l’opera de visu e ne ha verbalmente confermato l’autografia.
Sergio Rebora, ha esaminato l’opera su base fotografica e realizzato la scheda critica qui pubblicata.
Si ringraziano Fernando Mazzocca e Sergio Rebora per il prezioso supporto dato al catalogo.

Scheda critica
Domenico Induno
Milano, 1815 - 1878
Posa della prima pietra della Galleria Vittorio Emanuele a Milano,
1865-1867
olio su tela, cm 134 x 226
Agli albori dell’Unità nazionale, dopo l’apertura di piazza della Scala, il cuore della Milano più antica fu rinnovato dall’attuazione di un progetto ambizioso, che contribuì a innalzare la città al rango di metropoli europea. Su disegni dell’architetto Giuseppe Mengoni sorse la Galleria Vittorio Emanuele, una strada elegante, dotata di un’avveniristica copertura a vetri, destinata a ospitare esercizi commerciali di alto livello e a unire il nuovo square, su cui si affacciavano il Teatro alla Scala e Palazzo Marino con piazza del Duomo, anch’essa oggetto in quegli anni di una radicale trasformazione urbanistica. Secondo le fonti, per celebrare la posa della prima pietra della Galleria, la The City of Milan Improvements Company Limited, impresa inglese che si era aggiudicata la gara di appalto dei lavori di costruzione dell’edificio indetta dal Municipio di Milano, decise di commissionare un dipinto commemorativo dell’evento, avvenuto il 7 marzo 1865 alla presenza dello stesso Vittorio Emanuele e di altre autorità (S. Bietoletti, Domenico Induno, Soncino 1991, p. 96, n. 32; S. Regonelli, Sala IX. “Un tartarico sterminio”. Dall’architettura della libertà agli sventramenti di una città dispersa, in Museo di Milano. Palazzo Morando Attendolo Bolognini, a cura di R. Guerri, P. Zatti, Milano 2009, pp. 141-144, n. 43). La scelta, non a caso, era caduta su Domenico Induno. Affermatosi ormai da vent’anni insieme al fratello Gerolamo, insieme a Giuseppe Bertini, Eleuterio Pagliano e Camillo Boito, negli anni Sessanta dell’Ottocento l’artista era divenuto uno dei rappresentanti maggiormente significativi dell’establishment culturale ambrosiano per quanto concerne le arti figurative.
Della composizione definitiva si conoscono almeno tre versioni, di cui in questa sede si propone una sequenza cronologica ragionata.
Stando a Giorgio Nicodemi, tra i più accreditati esegeti degli Induno, il nostro dipinto, riferibile al 1865 (ma la cornice intagliata, peraltro non coeva, dichiara “1867”) sarebbe il primo tra quelli eseguiti da Domenico in ordine di tempo; reca invece la data 1866 quello già presso la Collezione Jacini, anch’esso divulgato dallo stesso Nicodemi (Domenico e Gerolamo Induno 1945, p. 30, s.p. tav. 25 A: paiono erronee le dimensioni indicate, cm 14 x 23). È inoltre noto che nel 1867 l’artista portò a termine una versione del soggetto ricordata nell’Appendice al catalogo della Esposizione di Brera di quell’anno tra i lavori di artisti lombardi non presentati alla rassegna (Esposizione delle opere di Belle Arti nelle gallerie del Palazzo Nazionale di Brera nell’anno 1867, Milano 1867, pp. 49-50). Tradizionalmente tale dipinto viene identificato nella tela recante la data 1867 (olio su tela, cm 95x150) già conservata a Palazzo Marino, entrata a far parte delle raccolte della Galleria d’Arte Moderna di Milano nel 1933 e ora in deposito presso Palazzo Morando. Del dipinto il Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco conserva una fotografia (stampa all’albumina, mm 300 x 400) realizzata dalla ditta Spagliardi & Silo cui i fratelli Induno affidavano abitualmente la riproduzione delle loro opere. In questa stessa versione si deve inoltre riconoscere l’opera appartenente a Giuseppe Mengoni presentata da Induno prima all’Esposizione Nazionale di Milano del 1872 (Seconda Esposizione Nazionale di Belle Arti diretta da un comitato eletto dalla Regia Accademia di Brera, Milano 1872, p. 72, n. 689) e poi all’Exposition Universelle di Parigi del 1878: a quell’epoca risultava di proprietà della vedova dell’architetto Mengoni, deceduto l’anno prima cadendo dall’impalcatura più alta della Galleria. Che si trattasse della stessa opera lo attesta l’incisione realizzata da Ambrogio Centenari su disegno di Odoardo Borrani riprodotta sulla stampa dell’epoca (Il quadro di Induno, in “L’Illustrazione Italiana”, n. 26, 30 giugno 1878, pp. 422-425). Pare che della vendita del quadro si fosse interessato Tullo Massarani, membro della giuria della rassegna parigina e intimo del pittore (Una nobile vita. Carteggio inedito di Tullo Massarani 1851-1885, scelto, ordinato e postillato da R. Barbiera, Firenze 1909, pp. 329-330).
Nell’ambito della rassegna retrospettiva dedicata a Domenico e Gerolamo Induno dalla Società Permanente di Milano nel 1891, de La posa della prima pietra si presentarono al pubblico uno dei bozzetti, allora proprietà di Emilia Trezzini vedova di Domenico Induno (Esposizione postuma dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno. Marzo 1891. Catalogo Ufficiale, Milano 1891, p. 11, n. 177) oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, e una versione da ritenere compiuta appartenente al conte Giulio Belinzaghi, banchiere, senatore del Regno e sindaco di Milano (Ibidem, p. 11, n. 179), della quale non si è in possesso di più dettagliate notizie. Il nostro dipinto compare invece in una fotografia facente parte di un servizio dedicato agli interni di Casa Girompini a Milano, realizzato da Emilio Sommariva in una data riferita al 1920 (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense). Verosimilmente la dimora fotografata era quella di Gian Pietro Girompini, uomo d’affari e marito di Carlottina Bernasconi, figlia del grande imprenditore tessile del ramo della seta Davide Bernasconi, residente in Cernobbio. Nel 1930 e, ancora, tre anni più tardi, quando fece la sua comparsa rispettivamente alla Mostra dell’Ottocento indetta dalla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma e alla retrospettiva di Domenico e Gerolamo Induno ordinata da Nicodemi nelle sale del Castello Sforzesco di Milano, il dipinto faceva parte della raccolta dell’ingegnere Luigi Antonini (Dipinti, s.p., n. 15, n. 137).
A Domenico Induno, cantore della gloriosa epopea delle grandi battaglie vittoriose del Risorgimento attraverso ampie tele nobilmente celebrative, toccò dunque immortalare più volte un evento di portata simbolica per la costruzione della coscienza nazionale come quello della fondazione di un grandioso monumento dedicato al sovrano che aveva unificato l’Italia. Nella trasposizione pittorica l’episodio finì, tuttavia, per assumere il tono di una cronaca feriale, grigia e sommessa. Alle difficoltà incontrate dall’artista nell’affrontare un soggetto inevitabilmente connotato dalla retorica della ufficialità alludeva elegantemente Carlo Belgiojoso nella commemorazione del maestro letta in seno all’Accademia di Brera all’indomani della sua scomparsa, avvenuta nel 1878: “Questa opera è nel numero di quelle cui l’artista si accinge già convinto che l’esito non uguaglierà il valore delle sue fatiche. La fantasia che è la musa del pittore deve obbedire alla memoria che ne è l’ancella: al posto dei personaggi immaginati dall’artista, bisognerà collocare dei ritratti copiati al naturale. Fin la scelta degli accessori sarà alla balia dell’apparatore; perfino il fondo, sempre libero quando è il cielo che lo presta, dovrà rassegnarsi alla storica realtà d’un nevischio che non ha neppure il pregio della freschezza. Eppure, malgrado tante difficoltà, l’opera riuscì egregiamente e fu riprodotta in due tele, la più grande delle quali, presentata nel corrente anno alla Esposizione di Parigi, trovò un compratore. Nella galleria di uno straniero, quest’opera sarà la stessa che Meissonier giudicò una delle più belle da lui vedute in Italia” (C. Belgiojoso, Domenico Induno. Commemorazione. Estratto dagli atti dell’Accademia di Belle Arti di Milano dell’anno 1878, Milano 1878, pp. 14-15).
Domenico Induno dovette attendere alla elaborazione della grande tela valendosi, come di consueto, di disegni e schizzi eseguiti dal vero con ogni probabilità durante la cerimonia stessa, alla quale anch’egli, possiamo ritenere, fu invitato a prender parte. Non è escluso che l’artista abbia utilizzato anche alcune fotografie raffiguranti le varie fasi dell’evento: ne conserva cinque tuttora il Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, una delle quali attribuita ad Alessandro Duroni. La tela appare non del tutto rifinita per ragioni a noi sconosciute, ma il suo fascino più autentico sta in questo. Intorno a un focus centrale rappresentato dal momento in cui presso la prima pietra Giuseppe Mengoni porge a Vittorio Emanuele la cazzuola per “battezzare” l’avvio dei lavori, l’artista indugia a descrivere con attenzione e verosimiglianza fisionomie, gesti e abiti da cerimonia mentre intorno lo sfondo sfuma in una materia che si fa scarna e destrutturata, fino a una semplificazione che mostra spiccate affinità con la pittura di macchia da un lato e con le esperienze d’Oltralpe dall’altro. A Fattori, in particolare, paiono rimandare certi dettagli apparentemente minori, come le figurette schizzate con elegante disinvoltura in cima alla casa sullo sfondo, a sinistra. La fuga degli astanti provocata dalla improvvisa bufera di neve ha fatto cadere a terra sedie e ombrelli, provocando il vuoto nella platea allestita ai lati del palco reale. Ma è l’intonazione complessiva ad avvicinare l’opera alla pittura francese del tempo: l’atmosfera plumbea della giornata di neve avvolge e pervade la scena, silenziosa e fredda, quasi glaciale e in una sinfonia di grigi, ora illividiti, ora rianimati da una luce abbacinante, Domenico Induno pare annunciare davvero l’addio alla passata stagione di gloria.

Sergio Rebora

Bibliografia: Mostra del centenario della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Roma 1930, p. 29, n. 1; Dipinti di Gerolamo e Domenico Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla Galleria dell’Arte e dell’Esame nel Castello Sforzesco di Milano, Milano 1933, s.p., n. 15.
Si leggano preliminarmente, con attenzione, le Regole della Vendita.
L’offerta, una volta proposta, è irrevocabile ed implica la accettazione integrale del Regolamento di vendita. L’offerta vincente è gravata con le commissioni previste nelle Regole della Vendita. L’aggiudicazione viene formalizzata previa verifica della sua regolarità da parte delle Autorità.
Per supporto nella registrazione dei propri dati e/o delle offerte, nonché per chiarimenti in merito alla procedura di aggiudicazione, è possibile chiamare lo +44 7931605834, in orario di ufficio, chiedendo del Dr. Matteo Smolizza.
Le eventuali integrazioni e modifiche alla procedura di vendita sono comunicate attraverso il link Aggiornamenti. Le informazioni in esso contenute sono parte integrante e sostanziale della procedura di vendita.
Per qualsiasi ulteriore informazione, puoi scriverci a procedure-giudiziarie@bonino.us
Può offrire solo chi si è debitamente registrato e ha quindi ottenuto un apposito codice cliente.
In caso di problemi di registrazione, scrivere a info@goforarts.com
La partecipazione all’asta è vincolata alla accettazione delle Regole della Vendita, compendiate alla sottostante tabella Regole d’asta, compresa la regola dei 30 minuti.

In caso di difficoltà tecniche nell’offrire durante l’asta, telefonare allo (+44) 7931605834.

Olio su tela
134x226 cm

Bibliografia :

Giorgio Nicodemi - Enrico Somarè, "Dipinti di Gerolamo e Domenico
Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla Galleria dell’Arte
e dell’Esame nel Castello Sforzesco
", Milano, 1933;
Giorgio Nicodemi, "Domenico e Girolamo Induno", Milano, 1945,
n. 90 ill. b/n (con didascalia erronea);
Laura Casone, Scheda catalografica SIRBeC AFRLIMM -
IMM-3a090-0000438, per l’immagine di Dino Zani

Esposizioni:
Esposizioni:
Roma, Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Mostra dell’Ottocento, febbraio - marzo 1930, n. 1
Milano, Castello Sforzesco, Retrospettiva di Domenico e Gerolamo Induno, maggio 1933, n. 15

Condizioni supporto: 70% (tela di rifodero; due punti di sutura)
Condizioni superficie: 75% (cadute di colore, integrazioni; al verso macchie di pittura da muro)

Numero componenti lotto: 1
L’opera è di grande rilievo nella pittura dell’Ottocento italiano sia per i richiami al realismo sia per l’evidente influsso degli impressionisti.
Lo stato conservativo è prossimo a quello di inizio Novecento, come testimonia una foto di Dino Zani, scattata presso la collezione Antonini di Monza tra il 1924 e il 1933, oggi conservata presso le Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche del Comune di Milano, e che fu probabilmente utilizzata da Giorgio Nicodemi, allora direttore dei Musei d’Arte di Milano, in preparazione della retrospettiva del 1933. Prima di entrare a far parte della collezione Antonini, la tela era custodita in casa Girompini a Milano (come documenta una fotografia di Emilio Sommariva).
Fernando Mazzocca ha verificato l’opera de visu e ne ha verbalmente confermato l’autografia.
Sergio Rebora, ha esaminato l’opera su base fotografica e realizzato la scheda critica qui pubblicata.
Si ringraziano Fernando Mazzocca e Sergio Rebora per il prezioso supporto dato al catalogo.

Scheda critica
Domenico Induno
Milano, 1815 - 1878
Posa della prima pietra della Galleria Vittorio Emanuele a Milano,
1865-1867
olio su tela, cm 134 x 226
Agli albori dell’Unità nazionale, dopo l’apertura di piazza della Scala, il cuore della Milano più antica fu rinnovato dall’attuazione di un progetto ambizioso, che contribuì a innalzare la città al rango di metropoli europea. Su disegni dell’architetto Giuseppe Mengoni sorse la Galleria Vittorio Emanuele, una strada elegante, dotata di un’avveniristica copertura a vetri, destinata a ospitare esercizi commerciali di alto livello e a unire il nuovo square, su cui si affacciavano il Teatro alla Scala e Palazzo Marino con piazza del Duomo, anch’essa oggetto in quegli anni di una radicale trasformazione urbanistica. Secondo le fonti, per celebrare la posa della prima pietra della Galleria, la The City of Milan Improvements Company Limited, impresa inglese che si era aggiudicata la gara di appalto dei lavori di costruzione dell’edificio indetta dal Municipio di Milano, decise di commissionare un dipinto commemorativo dell’evento, avvenuto il 7 marzo 1865 alla presenza dello stesso Vittorio Emanuele e di altre autorità (S. Bietoletti, Domenico Induno, Soncino 1991, p. 96, n. 32; S. Regonelli, Sala IX. “Un tartarico sterminio”. Dall’architettura della libertà agli sventramenti di una città dispersa, in Museo di Milano. Palazzo Morando Attendolo Bolognini, a cura di R. Guerri, P. Zatti, Milano 2009, pp. 141-144, n. 43). La scelta, non a caso, era caduta su Domenico Induno. Affermatosi ormai da vent’anni insieme al fratello Gerolamo, insieme a Giuseppe Bertini, Eleuterio Pagliano e Camillo Boito, negli anni Sessanta dell’Ottocento l’artista era divenuto uno dei rappresentanti maggiormente significativi dell’establishment culturale ambrosiano per quanto concerne le arti figurative.
Della composizione definitiva si conoscono almeno tre versioni, di cui in questa sede si propone una sequenza cronologica ragionata.
Stando a Giorgio Nicodemi, tra i più accreditati esegeti degli Induno, il nostro dipinto, riferibile al 1865 (ma la cornice intagliata, peraltro non coeva, dichiara “1867”) sarebbe il primo tra quelli eseguiti da Domenico in ordine di tempo; reca invece la data 1866 quello già presso la Collezione Jacini, anch’esso divulgato dallo stesso Nicodemi (Domenico e Gerolamo Induno 1945, p. 30, s.p. tav. 25 A: paiono erronee le dimensioni indicate, cm 14 x 23). È inoltre noto che nel 1867 l’artista portò a termine una versione del soggetto ricordata nell’Appendice al catalogo della Esposizione di Brera di quell’anno tra i lavori di artisti lombardi non presentati alla rassegna (Esposizione delle opere di Belle Arti nelle gallerie del Palazzo Nazionale di Brera nell’anno 1867, Milano 1867, pp. 49-50). Tradizionalmente tale dipinto viene identificato nella tela recante la data 1867 (olio su tela, cm 95x150) già conservata a Palazzo Marino, entrata a far parte delle raccolte della Galleria d’Arte Moderna di Milano nel 1933 e ora in deposito presso Palazzo Morando. Del dipinto il Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco conserva una fotografia (stampa all’albumina, mm 300 x 400) realizzata dalla ditta Spagliardi & Silo cui i fratelli Induno affidavano abitualmente la riproduzione delle loro opere. In questa stessa versione si deve inoltre riconoscere l’opera appartenente a Giuseppe Mengoni presentata da Induno prima all’Esposizione Nazionale di Milano del 1872 (Seconda Esposizione Nazionale di Belle Arti diretta da un comitato eletto dalla Regia Accademia di Brera, Milano 1872, p. 72, n. 689) e poi all’Exposition Universelle di Parigi del 1878: a quell’epoca risultava di proprietà della vedova dell’architetto Mengoni, deceduto l’anno prima cadendo dall’impalcatura più alta della Galleria. Che si trattasse della stessa opera lo attesta l’incisione realizzata da Ambrogio Centenari su disegno di Odoardo Borrani riprodotta sulla stampa dell’epoca (Il quadro di Induno, in “L’Illustrazione Italiana”, n. 26, 30 giugno 1878, pp. 422-425). Pare che della vendita del quadro si fosse interessato Tullo Massarani, membro della giuria della rassegna parigina e intimo del pittore (Una nobile vita. Carteggio inedito di Tullo Massarani 1851-1885, scelto, ordinato e postillato da R. Barbiera, Firenze 1909, pp. 329-330).
Nell’ambito della rassegna retrospettiva dedicata a Domenico e Gerolamo Induno dalla Società Permanente di Milano nel 1891, de La posa della prima pietra si presentarono al pubblico uno dei bozzetti, allora proprietà di Emilia Trezzini vedova di Domenico Induno (Esposizione postuma dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno. Marzo 1891. Catalogo Ufficiale, Milano 1891, p. 11, n. 177) oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, e una versione da ritenere compiuta appartenente al conte Giulio Belinzaghi, banchiere, senatore del Regno e sindaco di Milano (Ibidem, p. 11, n. 179), della quale non si è in possesso di più dettagliate notizie. Il nostro dipinto compare invece in una fotografia facente parte di un servizio dedicato agli interni di Casa Girompini a Milano, realizzato da Emilio Sommariva in una data riferita al 1920 (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense). Verosimilmente la dimora fotografata era quella di Gian Pietro Girompini, uomo d’affari e marito di Carlottina Bernasconi, figlia del grande imprenditore tessile del ramo della seta Davide Bernasconi, residente in Cernobbio. Nel 1930 e, ancora, tre anni più tardi, quando fece la sua comparsa rispettivamente alla Mostra dell’Ottocento indetta dalla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma e alla retrospettiva di Domenico e Gerolamo Induno ordinata da Nicodemi nelle sale del Castello Sforzesco di Milano, il dipinto faceva parte della raccolta dell’ingegnere Luigi Antonini (Dipinti, s.p., n. 15, n. 137).
A Domenico Induno, cantore della gloriosa epopea delle grandi battaglie vittoriose del Risorgimento attraverso ampie tele nobilmente celebrative, toccò dunque immortalare più volte un evento di portata simbolica per la costruzione della coscienza nazionale come quello della fondazione di un grandioso monumento dedicato al sovrano che aveva unificato l’Italia. Nella trasposizione pittorica l’episodio finì, tuttavia, per assumere il tono di una cronaca feriale, grigia e sommessa. Alle difficoltà incontrate dall’artista nell’affrontare un soggetto inevitabilmente connotato dalla retorica della ufficialità alludeva elegantemente Carlo Belgiojoso nella commemorazione del maestro letta in seno all’Accademia di Brera all’indomani della sua scomparsa, avvenuta nel 1878: “Questa opera è nel numero di quelle cui l’artista si accinge già convinto che l’esito non uguaglierà il valore delle sue fatiche. La fantasia che è la musa del pittore deve obbedire alla memoria che ne è l’ancella: al posto dei personaggi immaginati dall’artista, bisognerà collocare dei ritratti copiati al naturale. Fin la scelta degli accessori sarà alla balia dell’apparatore; perfino il fondo, sempre libero quando è il cielo che lo presta, dovrà rassegnarsi alla storica realtà d’un nevischio che non ha neppure il pregio della freschezza. Eppure, malgrado tante difficoltà, l’opera riuscì egregiamente e fu riprodotta in due tele, la più grande delle quali, presentata nel corrente anno alla Esposizione di Parigi, trovò un compratore. Nella galleria di uno straniero, quest’opera sarà la stessa che Meissonier giudicò una delle più belle da lui vedute in Italia” (C. Belgiojoso, Domenico Induno. Commemorazione. Estratto dagli atti dell’Accademia di Belle Arti di Milano dell’anno 1878, Milano 1878, pp. 14-15).
Domenico Induno dovette attendere alla elaborazione della grande tela valendosi, come di consueto, di disegni e schizzi eseguiti dal vero con ogni probabilità durante la cerimonia stessa, alla quale anch’egli, possiamo ritenere, fu invitato a prender parte. Non è escluso che l’artista abbia utilizzato anche alcune fotografie raffiguranti le varie fasi dell’evento: ne conserva cinque tuttora il Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, una delle quali attribuita ad Alessandro Duroni. La tela appare non del tutto rifinita per ragioni a noi sconosciute, ma il suo fascino più autentico sta in questo. Intorno a un focus centrale rappresentato dal momento in cui presso la prima pietra Giuseppe Mengoni porge a Vittorio Emanuele la cazzuola per “battezzare” l’avvio dei lavori, l’artista indugia a descrivere con attenzione e verosimiglianza fisionomie, gesti e abiti da cerimonia mentre intorno lo sfondo sfuma in una materia che si fa scarna e destrutturata, fino a una semplificazione che mostra spiccate affinità con la pittura di macchia da un lato e con le esperienze d’Oltralpe dall’altro. A Fattori, in particolare, paiono rimandare certi dettagli apparentemente minori, come le figurette schizzate con elegante disinvoltura in cima alla casa sullo sfondo, a sinistra. La fuga degli astanti provocata dalla improvvisa bufera di neve ha fatto cadere a terra sedie e ombrelli, provocando il vuoto nella platea allestita ai lati del palco reale. Ma è l’intonazione complessiva ad avvicinare l’opera alla pittura francese del tempo: l’atmosfera plumbea della giornata di neve avvolge e pervade la scena, silenziosa e fredda, quasi glaciale e in una sinfonia di grigi, ora illividiti, ora rianimati da una luce abbacinante, Domenico Induno pare annunciare davvero l’addio alla passata stagione di gloria.

Sergio Rebora

Bibliografia: Mostra del centenario della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Roma 1930, p. 29, n. 1; Dipinti di Gerolamo e Domenico Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla Galleria dell’Arte e dell’Esame nel Castello Sforzesco di Milano, Milano 1933, s.p., n. 15.
Si leggano preliminarmente, con attenzione, le Regole della Vendita.
L’offerta, una volta proposta, è irrevocabile ed implica la accettazione integrale del Regolamento di vendita. L’offerta vincente è gravata con le commissioni previste nelle Regole della Vendita. L’aggiudicazione viene formalizzata previa verifica della sua regolarità da parte delle Autorità.
Per supporto nella registrazione dei propri dati e/o delle offerte, nonché per chiarimenti in merito alla procedura di aggiudicazione, è possibile chiamare lo +44 7931605834, in orario di ufficio, chiedendo del Dr. Matteo Smolizza.
Le eventuali integrazioni e modifiche alla procedura di vendita sono comunicate attraverso il link Aggiornamenti. Le informazioni in esso contenute sono parte integrante e sostanziale della procedura di vendita.
Per qualsiasi ulteriore informazione, puoi scriverci a procedure-giudiziarie@bonino.us
Può offrire solo chi si è debitamente registrato e ha quindi ottenuto un apposito codice cliente.
In caso di problemi di registrazione, scrivere a info@goforarts.com
La partecipazione all’asta è vincolata alla accettazione delle Regole della Vendita, compendiate alla sottostante tabella Regole d’asta, compresa la regola dei 30 minuti.

In caso di difficoltà tecniche nell’offrire durante l’asta, telefonare allo (+44) 7931605834.